16 mar 2021  | Pubblicato in Ligucibario

Raieu. I ravioli genovesi

ravioli

ravioli

Viaggiando l’Italia

E’ possibile – si legga anche Pellegrino Artusi, anzi l’Artusi… – che i tortelli (piccole torte) siano nati “nudi”, pura farcia senza sfoglia, polpettine create con quel che c’era. Ogni regione d’Italia (quasi ogni Comune?) ha gelosamente e golosamente i propri, mai dimenticandosene per le occasioni di festa, in primis il Natale. Agnolotti, casoncelli, cappellacci, culurgiones… E ad esempio Gavi – terra assai vocata fra Liguria e Piemonte – può vantare ben 5 carni mescolate una con l’altra, crepi l’avarizia (e, dove vi sia buon vino rosso, i ravioli si gustano anche dentro una scodella colma di quel buon vino…). Il nome ravioli potrebbe peraltro derivare (non lo sapremo mai con certezza) da “raveggiolo”, ov’esso sia stato uno dei primi ripieni utilizzati…

Ravioli e…violini

Dei ravioli genovesi esiste perfino una ricetta siglata dal violinista Niccolò Paganini nel 1840, e non vanno confusi coi pansoti (panciuti tortelli di preböggion e prescinsêua diffusi a levante, clicca qui) né coi cosiddetti zembi a l’arzillo (ravioloni di pesce con sughi di mare, clicca qui). A Genova – e in Liguria – la sfoglia incorpora poche uova e la farcia, oltre a vitella magra, fa uso anche di economiche frattaglie (cervella, filoni, “laccetti”), ed almeno un 30-40% di vegetali, borragine, scarola, bietole, maggiorana (mia adorata persa), e magari un poco di timo nello spezzino… Questa farcia profumata va “riposata” al fresco (non in frigo) almeno una decina di ore, affinché i sapori si mescolino e stabilizzino.

La spesa dal macellaio di fiducia

Töccö è il pezzo (tocco) di carne, il macellaio vi vende il reale, il matamà, la fracosta…, ogni terra dà ai tagli – e talora ai quinti quarti – un nome diverso, ma la regola è che il pezzo prescelto cuocia almeno 3 ore a fiamma bassa, così che produca un intingolo perfetto (che alcuni arricchiscono con funghi secchi e vino, preferibilmente bianco ove il pezzo sia vitella, rosso ove manzo). Cuochi e casalinghe sanno che il reale (piccola parte superiore del collo) è un taglio di 3a categoria ma saporitissimo, la grossa massa muscolare comprende una parte superiore più magra e una inferiore più venata di grasso, ciò che rende il reale inadatto a bistecche o costate, ma ottimo per lessi e bolliti, stufati, polpette e sughi. Il matamà (spalla) è taglio di 2a categoria, si utilizza preferibilmente per lessi e bolliti. La fracosta (sottospalla) è un taglio tipo reale, duttile ma complesso, per il grasso, le nervature e le cartilagini, ciò che lo rende facile a sfarsi, nelle preparazioni va cotto lungamente con cura.

E nei calici?

Le cucine di ieri (fra Rinascimento e mode internazionali) hanno “osato” anche ravioli e ricette che oggi paiono inconsueti, e Giobatta Ratto stesso, autore nel 1863 della prima (e fortunatissima) Cuciniera genovese edita da Pagano, con la farcia dei ravioli riempiva le cappelle dei funghi rossi, che poi infornava con töccö e parmigiano… Sia come sia, affermerei che anche quel costoso “gratin”, come i raiêu odierni, ben incontrerebbe un Rossese della DOC Riviera ligure di ponente, o una Granaccia quilianese, o un Ciliegiolo dell’altra Riviera, da versare tutti a 16-17°C.

Amici lettori, buon appetito (a questo link come sempre la mia ricetta) e cincin da
Umberto Curti.
(articolo di proprietà dell’autore, concesso originariamente ad altra piattaforma ed ora non più online)
umberto curtiLigucibario mindmap PNG

 

Commenta