Da circa 25 anni (ahimé, fugit tempus!…) mi occupo di marketing, da 20 di turismo ed enogastronomia – in Liguria – . Da altrettanti si può dire che fraziono il Natale in due momenti, la cena del 24 ai fornelli con mia moglie Luisa, e il pranzo del 25 al ristorante (cercando, come potrai immaginare amico lettore, contemporaneamente un po’ di tradizione ed un po’ di creatività).
Durante dicembre ho ricevuto via mail e via social numerosi menu, alcuni assai intriganti, ma alcuni giorni fa mi aveva particolarmente colpito la proposta de “Officina di cucina”, un ristorante di via Colombo (Genova centro) che non conoscevo, e che in base ai piatti ho intuito a trazione napoletana… Telefonando per prenotare due coperti, ho immediatamente avvertito molta cordialità, tanto che il titolare mi ha precisato non esser necessaria – sulla fiducia – nemmeno una caparra.
La cena casalinga del 24 “chez Ligucibario®“ è trascorsa a base di pesce, così da non appesantirsi troppo: per antipasto totanetti su letto di quarantine e prescinsêua, con olive taggiasche, per primo taglierini con gamberoni, porri, curry e zest di limone, per secondo salmone con flan di broccoletti e pinoli tostati, per dolce spungata sarzanese (di sfoglia). Con tutti i piatti salati ho abbinato le bollicine di un blanc de blancs (da uve chardonnay) brut millesimato, metodo classico della italianissima val Tidone, tra Pavia e Piacenza, e con la spungata un passito a bacca bianca.
Il 25 Luisa ed io ci siamo pertanto presentati, puntuali verso le ore 13.00, alla “Officina di cucina”, accolti con garbo. Si tratta di un localino dall’arredo moderno e pulito, tavoli opportunamente distanziati e temperatura piacevole (22°C), mise en place essenziale e festosa, bagno confortevole in perfette condizioni. Dopo un minimo di attesa, necessaria perché la cucina potesse allineare il servizio anche sui “ritardatari”, è andato in scena un suggestivo…Natale in casa Cupiello.
Una flûte servita alla giusta temperatura ha fatto così da preludio ad una conchiglia con insalata di rinforzo, un cuoppo con fritturina mista, una pizza fritta con salmone e ricotta, ed alcune zeppole di cavolfiore, sorta di entrée da piluccare con le dita, non invadente grazie ai fritti molto asciutti e leggeri. Il prologo ha assunto le sembianze di un cestino di mais con insalata calda di polpo grigliato e cannellini con citronette di sedano, e qui la cucina ha cominciato ad esprimere ancor più personalità, il polpo essendo tenerissimo e la citronette lieve e contrastiva. L’atto primo ha condotto in tavola dapprima i vermicelli all’uovo, aglio e olio, su crema di baccalà e ceci, con bottarga grattugiata, quindi i conchiglioni ripieni con ragù di verdure, mozzarella e fonduta al pistacchio. I vermicelli denotavano una tendenza leggermente dolce (lo chef ha temuto un eccesso di salato da baccalà e bottarga), ma la cottura era perfetta e l’assemblaggio riuscito. I conchiglioni, dalla consistenza appetitosissima, regalavano sapori in successione, positivamente lineari. L’atto secondo è risultato il momento più alto, una minestra maritata col mare, ovvero un brodetto di pesci con verdure invernali, piccolo capolavoro dove ogni ingrediente offriva le proprie note, gioiello dopo gioiello. L’atto terzo conclusivo ha sciorinato roccocò e mustacciuoli (buonissimi), frutta secca a volontà, panettone (di qualità) ed una spuma di latte e cioccolato bianco nel cestino di biscotto al cacao e crema di caffè (un dessert dall’impiattamento a regola d’arte).
Conto – udite udite – di 58 euro a persona con una bottiglia di ottimo rosato salentino da uve negroamaro e malvasia.
Mi è dunque piaciuto, a fine pranzo, conoscere lo chef-patron, Leopoldo De Chiara, e ascoltare la sua storia, di giovane di belle speranze che dal Vesuvio si trasferì alla corte di un affermato albergo in quel di Nervi, imparando che grandi cuochi non si nasce, bensì si diventa, approfondendo – ma senza smettere poi mai – materie prime e tecniche di cottura, e reinterpretando i piatti solo dopo aver ben compreso ciò che secoli di gastronomia ci hanno lasciato in eredità. Ho conversato quindi con un professionista sorridente, senza grilli per la testa, il quale ha saputo crescere anzitutto grazie alle difficoltà iniziali, che lo costrinsero a smussare non pochi spigoli d’arroganza giovanile (talora gli urlavano “togliti il tappo, gazzosa!”). Un professionista che oggi pratica una linea di cucina riflessiva, nitida, mai stravagante, ed un’ospitalità orientata all’ospite (e se vi mangerai, amico lettore, rendicontami la tua esperienza).
Grazie Leopoldo per il bel pranzo, che mi ha coinvolto e mi ha trasmesso la tua joie de travailler, e felicitazioni vivissime da Ligucibario®! Presumo che i complimenti – sinceri – di un sito dove non compare (cosa ormai rara, no?) nemmeno un banner pubblicitario ti siano ancor più graditi… Natale vola via, ma a presto!
Umberto Curti
26 dic 2019 | Pubblicato in Ligucibario
Natale, pranzo all’Officina di cucina 1
Tags:baccalà · cuoppo · genova · leopoldo de chiara · ligucibario · Luisa Puppo · minestra maritata · Natale · officina di cucina · olive taggiasche · pizza fritta · prescinsêua · sarzana · spungata · umberto curti · vermicelli · zeppole
Confesso un segreto, ma non ditelo a nessuno. Che resti tra noi.
Quel “tappo” non l’ho mai tolto. Mi ha aiutato a mantenere la pressione sempre alta. E come un ottimo spumante, ha contribuito alla fermentazione del “sapere”.
Grazie Umberto&Luisa.
Lusingato!!!