Perchè una genius loci academy? Il nostro patrimonio heritage – enogastronomia compresa – necessita, oggi più che mai, di competenze specifiche, di ricerche accurate, di expertise tecniche. Dopo tanti anni di lavoro sul territorio e malgrado l’abbondanza di offerte formative in Liguria crediamo manchi una “academy” in grado di restituire compiutamente la portata, e in prospettiva i valori, di tutto ciò che l’atto e poi il piacere di nutrirsi portano con sé. Attorno ai nostri prodotti, ai menu dei ristoranti, agli agriturismi, al commercio di tipicità e ai mercati storici, ai viaggi del vino, ai media di settore, al foodblogging e a tanto altro ruota infatti un’economia che – ove ben strutturata in termini di marketing e management – potrà garantire un futuro anche a molti giovani, e una salute e quotidianità migliore ai cittadini . Sovente manca la contaminazione tra saperi, sovente manca uno sguardo trasversale e sensibile che riesca a collegare approcci, conoscenze, obiettivi. Ci piacerebbe perciò confrontarci su quanto sopra con alcune persone che, a vario titolo, si occupano di enogastronomia/turismo e dunque talora percorrono strade vicine alle nostre.
Genius loci academy. I patrimoni culturali e gastronomici necessitano di competenze specifiche
Fra le firme del “Secolo XIX” che ogni volta più apprezzo figura anzitutto Claudio Paglieri, penna sempre acuta e talvolta canzonatoria. Di recente ha scritto in due pezzi diversi (sintetizzo ove necessario) che vorrebbe tenersi: “…alla larga dal traffico del salone nautico, dagli ingorghi in autostrada, dalle feste per le cinque stelle degli alberghi, dai déhors che proprio lì sotto incombono perfino sulla fermata del bus, ostacolando i pedoni (…) guardare lontano, e vedere come sarà Genova tra dieci o venti anni, quando la gioiosa macchina da guerra che in questo momento attacca in tutte le direzioni (waterfront di levante, maxidiga, tunnel subportuale, supermercati, funivie, tram, metro e skymetro, capitale del Natale, del libro, del formaggio…) finirà i proiettili, o i finanziamenti (…) vedere nel futuro una Genova funzionante e bellissima, a misura dei genovesi e di chi vuole trasferirsi a viver qui. E non un parco giochi per turisti (…) E comunque, vi dico la verità, mi fa un po’ tristezza tutta questa retorica localista sul pesto come ambasciatore della città (siamo arrivati al rendering di un mortaio in navigazione sul Tamigi) e sulla focaccia più lunga del mondo e sul salame più lungo d’Europa”…
Forse a Genova questi sono pensieri di molti, ma fin qui espressi da pochi.
Confesso che mi sono anche parse parole non troppo lontane da quel che scrivevo quasi 20 anni fa nel primo dei miei non rari saggi, quell’Alte stagioni. Modelli per il marketing turistico in cui affrontavo anche il “caso Genova”, in un capitolo che se ben ricordo si intitolava “Genova per chi”…
Tra i temi su cui Claudio Paglieri ironizza, in un modo che mi ha colpito e divertito, ecco che compare – e ripetutamente – la gastronomia cittadina. Da un lato il cosiddetto food&wine è diventato ovvia risorsa primaria di molta offerta turistica italiana (non solo ligure), talora configurando esperienze d’eccellenza. Dall’altro, poiché di gastronomia hanno cominciato ad occuparsi e scrivere un po’ tutti, il tema è andato via via inevitabilmente inflazionandosi e banalizzandosi. Del resto, chi segue Ligucibario® avrà visto la recensione (“Il marketing della storia”) che pubblicai il 4 luglio scorso circa il fresco di stampa, e magnifico libro Denominazione d’origine inventata del Professor Alberto Grandi…
Di recente, sempre sul “Secolo XIX”, è apparso pure un pregevole “affondo” dello storico dell’arte Giacomo Montanari relativamente al fatto – preoccupante – che anche d’arte e beni culturali si stanno occupando e stanno scrivendo un po’ tutti, e ciò non giova alla scientificità dei dibattiti, perché il nostro patrimonio heritage necessita, oggi più che mai, di competenze specifiche, di ricerche accurate, di expertise cartesiani.
Genius loci academy. Enogastronomia, non solo promozione
In questo senso l’enogastronomia (l’etno-gastronomia) come campo di studio sta muovendo i primi passi solo da qualche decennio. Io ebbi il piacere e l’onore di conoscere Gino Veronelli – la madre era di Finalborgo – e alla sua lezione, come noto a chi mi frequenta professionalmente, tuttora mi collego, malgrado sia trascorsa un’era geologica fra quel suo raccontare sovente poetico (“il vino è il canto della terra verso il cielo”) e i business e le avidità, a tratti spietati, dei nostri tempi.
L’arte culinaria parve a lungo, tuttavia, un argomento di seconda fila, Veronelli fu un pioniere ma non v’era piena consapevolezza circa il fatto che solo conoscendo l’alimentazione di un popolo si riesce in concreto a penetrarne la cultura. Un popolo, una comunità, è in primis quel che ha mangiato, edo ergo sum. E’ in primis quel che ha saputo cacciare, pescare, coltivare, produrre, importare… E’ la microstoria che compone la macrostoria, ma i cuochi furono per secoli analfabeti, e lesinarono finanche le trascrizioni delle ricette, per proteggere i propri copyright ideativi. Ciononostante, la cucina era ed è un forziere antropologico inesauribile.
Ed io, dopo tanti anni di lavoro sul territorio, docenze, libri, consulenze, credo che malgrado tutto – e malgrado l’abbondanza di offerte formative fra cui i nuovi, apprezzati ITS – in Liguria manchi una “academy” in grado di restituire compiutamente la portata, e in prospettiva i valori, di tutto ciò che l’atto e poi il piacere di nutrirsi portano con sé. E la Liguria stessa, malgrado il suo genius loci mediterraneo, le sue cultivar autoctone, i suoi muretti a secco, le sue tradizioni artigianali ecc. purtroppo non si erge pienamente a terroir. Sovente manca la contaminazione tra saperi, sovente manca uno sguardo trasversale e sensibile che riesca a collegare approcci, conoscenze, obiettivi. Condividere, si sa, è (dovrebbe essere) la miglior antitesi al miope blindare gli pseudo-orticelli.
Enogastronomia oggi significa certamente tutela, ma anche valorizzazione. Anzi, mi vien da dire (e non è un gioco di parole), tutela valorizzante. Ai nostri grandi giacimenti ed alla loro salvaguardia indefessa occorre affiancare una promozione sagace, anche online, creando figure professionali ad hoc (Ianuensis ergo mercator) tanto quanto gli istituti alberghieri creano cuochi e camerieri di sala… La sostenibilità, la biodiversità, le ricette antiche e le tendenze nuove, i documenti e i monumenti (per dirla con Jacques Le Goff) chiedono – esattamente come avviene per il bene culturale, dato che la gastronomia è tale – competenze specifiche, ricerche accurate, expertise cartesiani, più che annunci roboanti, cortigianerie, e rendite di corto respiro. E chiedono storytelling, tecniche di accoglienza mirate, conoscenza delle lingue (chiedere a Luisa Puppo…), interculturalità.
Attorno ai nostri prodotti, ai menu dei ristoranti, agli agriturismi, al commercio di tipicità e ai mercati storici, ai viaggi del vino, ai media di settore, al foodblogging e a tanto altro ruota infatti un’economia che – ove ben strutturata in termini di marketing e management – potrà garantire un futuro anche a molti giovani, e una salute e quotidianità migliore ai cittadini (Ancel Keys morì in Cilento centenario…). E’ un’opportunità che non possiamo permetterci di trascurare, tanto più in questi anni di disastri e insensatezze.
Genius loci academy. La contaminazione tra saperi e il networking
Mi piacerebbe perciò confrontarmi su quanto sopra con alcune persone che, a vario titolo, si occupano di enogastronomia/turismo e dunque talora percorrono strade vicine alle mie. Sovente sono – caso per caso – persone di cui ho sincera stima, o di cui leggo attentamente gli scritti, o di cui guardo i video. Valter Longo, Riccardo Spinelli, Farida Simonetti, Franco Bampi, Stefano Fera, Stefano Torre, Lino La Iacona, Sabina Ribatto, Renata Briano, Lella Canepa, Gianni Bruzzone…, l’elenco è nutrito, significativo e in progress. Ci si potrebbe “incontrare” in spirito di servizio con una prima riunione online, e valutare se valga la pena di scambiarsi idee e propositi. Anche immaginando una serie di interviste da pubblicare progressivamente e piacevolmente qui su Ligucibario® (dove in tanti anni non è apparso mai neppur un banner pubblicitario). Chissà che per una volta non si riesca a smentire il nostro proverbiale, atroce maniman.
Che ne pensate? Attendo, come si suol dire, graditissime vostre.