La farinata, “oro di Genova”, antica scribilita, è una specialità ligure molto popolare e semplice, vegana e in toto senza glutine, si prepara “diluendo” farina di ceci con abbondante acqua, salando e oliando il tutto (immediate le consonanze con la panissa). Questo composto fluido si versa in un’ampia teglia tonda, di rame stagnato, strumento fondamentale, e cuoce pochi minuti in forno (a legna), ad alta temperatura… Noi genovesi la colleghiamo ad una leggenda che rievoca la vittoria navale contro Pisa alla Meloria (1284), e la condividiamo, come noto, con Piemonte, Provenza, Toscana, Sardegna…, talvolta anche la arricchiamo con carciofi, rosmarino, cipolline, salsiccia, formaggi…
A Savona, viceversa, la prediligono bianca, ovvero con 90-100% farina di grano, e dunque vige un derby di cui è impossibile decretare il vincitore.
Il rame in cucina vanta una storia importante, costituiva addirittura un bene di lusso, una sorta di status symbol, nell’antichità infatti si privilegiavano giocoforza materiali più economici, poiché i giacimenti noti e sfruttati erano pochi e la procedura di estrazione onerosa. Ergo, il pentolame domestico e quotidiano della gente comune era di terracotta, mentre solo in pochi potevano permettersi di possederne di rame o di altri metalli “preziosi”.
Ormai scarseggiano anche a Genova quegli artigiani che, un tempo numerosi, realizzavano (e martellavano) le teglie di rame, robuste e belle a vedersi, quasi opere d’arte plasmate con maestria, oggi quasi oggetti mitologici. Erano fogli di lamiera di rame di qualità, rame il quale sul lato delle cotture veniva stagnato a caldo, onde proteggere il manufatto dall’ossidazione e igienizzarlo. Lo spessore della lamiera si adattava e si adatta in base al diametro previsto: ad es., per una teglia Ø 325 mm, si prevede uno spessore 0,8 mm… Fra le molteplici caratteristiche, il bordo che tutt’intorno dev’essere ovviamente rialzato affinché le pastelle non fuoriescano, una serie di incisioni sul fondo appena percettibili, a raggiera, ove trattenere un minimo di olio durante le cotture, e l’anello di sospensione esterno, così da appendere comodamente le teglie (che diventavano un po’ l’arredo di sciamadde e fainotti)… Una punzonatura, col marchio del fabbricante, la sua firma-brand, suggellava il lavoro eseguito.
La stagnatura, tuttavia, era/è duratura ma non è perenne: dopo alcuni anni, quando lo stagno via via si danneggia, è bene ripeterla, e questa rapida operazione garantirà di nuovo alla teglia le sue salubri e migliori performance… Una teglia, in tal senso, è poi eterna.
Da nuove occorre strofinarne manualmente la faccia superiore con un mix di sale e olio, per poi asciugarla con carta da rotoli tipo Scottex. Quindi vi si versa un sottile strato d’olio, che s’estenda su tutta la faccia, e si colloca in forno molto caldo sin quando l’olio prenderà a crepitare. Dopodiché andrà raffreddata fuori forno, si monderà via l’olio con carta straccia, e a quel punto la teglia può finalmente entrare in funzione.
Le teglie da farinata – attenzione – non si lavano, bensì si puliscono a secco e si mantengono sempre lievemente unte.
Quanto alla ricetta, per una teglia da 30cm, si pongono in un’ampia bacinella 170g di farina di ceci setacciata e si uniscono lentamente 600ml di acqua fredda, rimestando bene e pazientemente con un cucchiaio di legno o ancor meglio una frusta a mano, sincerandosi che il composto s’amalgami a dovere e non faccia grumi. Terminata l’operazione, si copre la bacinella con un panno pulito, “dimenticandola” per almeno 5-8 ore, fuori frigo. Andrà schiumato quel che affiora in superficie, perché in cottura annerirebbe. A questo punto si unisce il sale (2 presine), nuovamente rimestando, e si versano 8 cucchiai di extravergine nella teglia fredda (100ml abbondanti), distribuendo bene, dopodiché si versa anche la pastella, uno strato di circa 4mm; il tutto va smosso delicatamente con un cucchiaio, affinché si emulsionino tante microgocce di olio sulla pastella. Si preriscalda il forno alla max temperatura possibile (in casa 240-250°C…, il forno dev’essere in bolla!) e si cuocerà la farinata indicativamente almeno e sottolineo almeno un quarto d’ora, verificando che sopra si formi una crosticina bruno-dorata, color nocciola… La farinata è migliore se “riposata” per qualche minuto, ove necessario dentro il forno spento, poi si porziona tradizionalmente a quadrettoni, se piace si spolvera con una macinata di pepe nero, e si abbina ad es. ad un Vermentino, servito a 11°C in tulipani a stelo alto. Rappresenta uno street food con cui è gradevole ungersi le dita un po’ a tutte le ore, magari passeggiando per i carruggi del centro storico di Genova, la casbah medievale, dedalo labirintico di voci, gatti oziosi, lenzuola stese…