Il nostro Paese interamente da nord a sud ama il Carnevale, che ormai si associa anzitutto al divertimento, al “sovvertire” le regole consuete. Ma le origini della festa sono/sarebbero religiose, l’ultimo giorno di Carnevale coincidendo con quel martedì grasso che avvia la Quaresima, tempo di digiuni e astinenze da rispettare poi – categoricamente – fino alla Pasqua…
Carnevale, dentro gli immaginari collettivi, in Italia significa Venezia, Viareggio, Ivrea, ma anche il Trentino Alto Adige (con strepitose frittelle di mele!), il Lazio, le Marche, la Puglia, la Sardegna si caratterizzano per eventi allegorici, maschere colorate, balli, piatti tipici. La ricorrenza talora era momento capace – come pochi – di “saldare” città e campagne.
In Liguria, amici Lettori, vi evoco immediatamente l’appartata valle Arroscia, là dove i “mascheri” (spavaldi giovanotti in consunte “vesti” da donna) percuotevano le porte degli abitati reclamando uova, olio, vini… Di quei “saccheggi” le fanciulle avrebbero fatto frittelle – sia salate sia dolci –, che nei “canissi” (baracche nei castagneti) agevolavano vicinanze e baci furtivi. Del resto, quello costituiva il primo – agognando la imminente primavera – dei vari, vitali riti che il calendario “elargiva” al popolino (pentolacce, alberi della cuccagna, falò di San Giovanni Battista…).
Fra l’altro, leggo in un saggio dell’amica Silvia Bottaro – sempre puntuale e prolifica – che “Cicciulin” di Savona (marinaio ruvido ma dal cuore buono), grazie all’artista fiorentino Romeo Bevilacqua che la ideò nel 1953, è la sola maschera ligure registrata all’albo ufficiale delle (50) maschere italiane. Bevilacqua – che sarebbe mancato appena 50enne nel 1958 – donò quella maschera all’associazione locale A campanassa.
Quanto alla tavola genovese, via via, Carnevale in genere garantì grandi quantità di ravioli, braciolette di maiale, formaggi, pasticciotti a buon boccone (ovvero ravioli dolci fritti), s-ciumette d’albumi (les îles flottantes dei cugini francesi), frutta, e ripetuti brindisi con vini rossi di non proprio facile beva… Al tempo dei Dogi, inoltre, le classi nobiliari visitando i propri consimili non facevano mancare gli eleganti vassoi di bugie. Queste frittelle, come noto, lungo lo Stivale prendono decine di nomi: frappe, chiacchiere, cenci, galani, crostoli, sfrappole… Differiscono, credetemi, solo per minimi dettagli, sfumature.
Se infine siete golosi di frittelle di San Giuseppe (con l’uvetta), e davvero potrei capirvi, è non a caso una delle tradizioni che trovate nel mio Abbecedario della cucina ligure (link qui). Si tratta peraltro di un rito culinario talmente facile, che potreste prepararle coi vostri figli o nipotini… Buona lettura e buona merenda!