C’è vita su Marte oltre il pesto?
IL MORTAIO
Nessuno ragionevolmente, e men che mai io, porrebbe in discussione l’importanza del mortaio (non solo di marmo) in àmbito mediterraneo. Un utensile “di civiltà”, che da sponda a sponda accompagna(va) preparazioni culinarie e cosmetiche, vi si pesta(va)no infatti spezie, frutta secca, sostanze coloranti…
SUA MAESTA’ IL PESTO DI BASILICO
Nessuno ragionevolmente, e men che mai io che le ho dedicato infiniti scritti (eccone ad es. a questo link), porrebbe in discussione i valori di una salsa a crudo che tutto il mondo “invidia” alla Liguria e a Zena, quel savore d’aglio che da metà ‘800 – ma la “Cuciniera” di Giobatta Ratto impiegò in origine formaggio “discutibile”… – venne via via formalizzato nei 7 ingredienti con cui oggi (sic dicunt) si prepara il pesto, battendoli e stracciandoli nel mortaio con pestelli di legno duro (e le orecchie del mortaio valgono a ruotarlo, ma anche a poggiarlo sulle cosce se si cucina seduti…). Te li elenco quegli ingredienti, amico Lettore, in ordine di successione, aglio bianco (perfetto il Vessalico), pinoli pisani/italiani, sale grosso – guarda caso un conservante – , basilico genovese dop (quello giovane a foglioline piccole), parmigiano dop 18 mesi, fiore sardo dop oltre i 6 mesi (grosso modo 3-4 parti ogni 6-7 di parmigiano), e olio extravergine locale (possibilmente DOP Riviera di levante).
E se a casa o dove sia utilizzi i robot, i mixer, i frullatori, abbi l’accortezza di “gelare” un’oretta in freezer il bicchiere e le lame, perché il calore del movimento elettrico ossida i polifenoli aromatici negli olii essenziali della pianta…
Ma prima delle serre (affermatesi a fine ‘800, chiedere ai praini come Stefano Bruzzone di “Genova World” per credere) il basilico non era costantemente disponibile com’è viceversa oggi, ed i cosiddetti “pesti d’inverno” capitalizzavano perciò quel che c’era, maggiorana spinaci e poi fagiolini tanto per dire, con geniale frugalità…
LA PASTA, E IL PIGATO
Nessuno ragionevolmente, e men che meno io, porrebbe in discussione il perfetto matching con le lasagne sottili come fazzoletti di seta, le trenette anche avvantaggiate da crusca, le picagge anche matte, gli gnocchi di patate (nipoti “indiretti” dei knoedel “longobardi”), le troffiette, i testaroli (da Cogorno in poi…) tagliati a rombi, né l’abbinamento con un Pigato ad hoc (pardon, DOC), che ha note alquanto più aromatiche del Vermentino e della Bianchetta, versato a 11°C in tulipani a stelo alto.
Fin qui, dunque, tutto bene.
MA LA CUCINA LIGURE E’ SOLO PESTO?
Ma la questione da porsi – forse ereticamente – poi diventa: c’è vita su Marte oltre il pesto? Intendo dire: la cucina ligure è solo pesto? E (me) lo domando in quanto, anche sul web e sui social, pare che l’attrazione di turisti e gastronauti dovrà avvenire solo attraverso il pesto. Tutti pesteranno pesto, tutti saranno – più o meno – espertissimi maestri di pesto. Nelle proposte di viaggio in Liguria dominerà il pesto, tante guide turistiche accompagneranno i gruppi a veder fare o a fare il pesto, tanti organizzatori di eventi prevedranno gare di pesto, non vi sarà quasi fiera salone convention e turismo esperienziale senza pesto, tanti showcooking e demo proporranno pesto… Pesto pesto pesto, fortissimamente pesto.
Gloria al pesto, non mi si fraintenda. Ma ho la sensazione che vi sia tutta un’ulteriore cucina ligure (ora celebre, ora da “riscoprire”) che rimane nell’ombra, immeritatamente esclusa da tutte queste vetrine ed opportunità. Non faccio esempi, ma è sufficiente qui sulla mia piattaforma Ligucibario® navigare la sezione “il top del tipico”, in home page, o ancor più approfonditamente “l’alfabeto del gusto” (eccoti poi il link diretto), per visualizzare quanti piatti della memoria, quante ricette autentiche, quante tradizioni del gusto avrebbero pari o comunque buon diritto alla ribalta.
FOOD TOUR
La Liguria, tanto per dire, sono i finger food (focaccia, sardenaira, farinata, friscêu, cuculli, panissa, barbagiuai…), sono le altre salse da mortaio fra cui un eccelso marò di fave fresche che a ponente sposava la capra, i cento pani da Pignone a Triora, è la salagione delle acciughe dentro le arbanelle, la brandade di stoccafisso, la capponadda di bordo camoglina, la mes-ciùa degli approdi spezzini, lo zimino di ceci, il minestrone di verdure, la pasta ripiena dai raiêu ai pansoti, la favolosa torta Pasqualina col preböggiön, la cima cantata anche da De André, le tomaxelle, le trippe accomodate e alla sbira, il coniglio con pinoli e taggiasche, gli umidi di mare (buridda, ciuppin, bagnön rivano) il castagnaccio, il pandolce antico lievitato col crescente e quello basso lievitato col baking, tutta la pasticceria secca anche in “coabitazione” col Piemonte, la spungata di Sarzana e della Via Francigena * … Ognuno di questi piatti è un magnifico storyteller, legandosi a luoghi, coltivazioni, tecniche di pesca, importazioni, riti, aneddoti e ricorrenze…; qualcuno, addirittura (come la capponadda), si può preparare senza nemmeno dover accendere i fornelli…
Gloria al pesto, quindi, non mi si fraintenda. Ma osare talvolta un po’ più di fantasia, su Marte?
* a tanti dei piatti in elenco ho dedicato libri, corsi, gustincontri…, la miniera della gastronomia ligure è – anche per ragioni geostoriche – inesauribile, e non lo affermo per campanilismo, dato che mi reputo un estimatore di tutte le 20 cucine regionali italiane, e di non poche internazionali…
Umberto Curti