18 mag 2022  | Pubblicato in Ligucibario

Povera patria, cantava Battiato

L’ennesima indagine su “nepotismi” all’italiana scuote stavolta alcuni ambienti universitari, con intercettazioni in cui merito e talento non figurano all’ordine del giorno, e il “barone” di turno il quale (forse temendo per i propri “protetti”) afferma un po’ sdegnato che, di fatto, occorre individuare già a monte i candidati vincenti e poi ritagliare il bando a loro misura, non viceversa!… Anche in questo caso, chissà, alla fine tutti la faranno franchissima? Mi domando (io che sono un cane sciolto, senza tessere né appartenenze) come debbano sentirsi in Italia quei giovani e quei professionisti valorosi che ancora investono sulle proprie capacità, senza tirare la giacchetta al politico e al potente, tenendosi lontani dal fetore mortifero delle lobby, del marchétting, delle spintarelle e mazzette, delle consulenze agli amici degli amici.

A “Edufest”, manifestazione svoltasi a Genova-Cornigliano, il filosofo Umberto Galimberti, con la (condivisibile) ruvidezza che gli è propria, si spinge a dire che “la scuola non educa ma istruisce servitori…La scuola non è mai stata pensata per l’educazione dei ragazzi, ma per dare un posto di lavoro agli insegnanti”. L’Italia non a caso sconta a livello UE una delle quote di abbandono scolastico più alte, il 13,1% (543mila ragazzi nel 2020, peggio i maschi e il Mezzogiorno) contro il 9,9%, peraltro già preoccupante, della media europea.

Nel milionesimo dei talk show in cui si commenta la guerra in corso (migliaia di morti e orrori a catena), e in cui di solito si esibiscono le consuete compagnie di giro, l’ego di un settantenne e l’ego di un ottantunenne paiono giocare al futurismo e (dopo che uno grida all’altro “imbecille!”) i due si affrontano proprio fisicamente, e la spinta dell’uno fa rotolar per terra l’altro, poi dopo una raffica di nuovi insulti (testa di cazzo, faccia di culo, stronzo, merda umana) entrambi si risiedono e la puntata va avanti e termina come se, in fondo, nulla fosse stato.

Sto iniziando a leggere un magnifico saggio di Filippo Ceccarelli, Lì dentro. Gli italiani nei social, edizioni Feltrinelli, nel quale l’opinionismo (l’eccesso di autostima) si palesa come la peggior patologia di questi anni. Dal saggio – redatto dopo 3 anni di full immersion dentro Instagram – emerge come tutti (ma l’avevano già prefigurato Theodor Adorno e Umberto Eco) sentano il diritto di avere ed esprimere un’opinione su ogni tema, ad ogni costo. Tutti sentenziano, pontificano, cianciano, sproloquiano, esperti di qualsiasi cosa, ovvero di nulla. Il web, che avrebbe dovuto renderci “migliori”, ci soffoca in un magma di futilità, e – ormai – in una dipendenza h24 (da storie, follower, tweet, consenso, like…) per molti tossica. Senza alcun esercizio di idoneità, prudenza, cognizione, tutto fiorisce e svanisce nel giro di una mezz’oretta…, una lavabiancheria di show mediocre in cui s’immerge bucato in ammollo, e l’indomani stesso lo sporco non si nota più.

Ecco nel frattempo, voilà, scorrere anche sui nostri smartphone il tizio che in piena pandemia salterella seminudo su una spiaggia esotica, ecco il selfie dal catamarano o dalla funivia, ecco (mentre diluviano missili sulle case e sulle famiglie ucraine) foulard svolazzanti nel ghibli del deserto, ecco i gourmet di turno che sturano Barolo esclusivo, what else… Tutto – in antitesi alla sobrietà, alla misura, alla decenza – è esibizione, presentismo, ostentazione di sé (e del proprio status), talvolta “alla faccia di chi non può permetterselo”, poiché sono andati imponendosi modelli e disvalori cui molti non sanno, né men che meno vorrebbero?, sottrarsi.

Il poeta “nobel” Eugenio Montale (che come tutti i poeti migliori fu anche folgorante profeta) scrisse che la precarietà è la musa del nostro tempo, di questa società divenuta poi – in un attimo – sempre più liquida, consumistica, vacua, indecifrabile.

Difficile non sentirsi assordati e stanchi. Io stesso continuo a lavorare il più possibile eticamente, a operare sul e per il territorio, a scrivere di territorio, a promuovere il territorio, questa Liguria bellissima e decrepita, soleggiata e raggelante, ed ormai, ogni giorno di più, fatico a motivarmi…

Difficile non chiedersi cosa resterà, di questi anni. Passo e chiudo. Umberto Curti

Commenta