“Recuperavo” sul web un articolo circa un concorso fra ristoratori locali d’una quindicina di anni fa, con preoccupazione notavo che numerosi di quei locali (circa 1/3) purtroppo non esistono più, qualcuno ha chiuso i battenti da anni, qualcuno più di recente, in altri casi sono intervenuti uno o più cambi di gestione. Ogni impresa che chiude è una ferita per il territorio.
Forse, in prospettiva futura, e là dove tanti giovani intendono avvicinarsi al settore e ai fornelli, occorrerebbe ben capitalizzare la celebre affermazione di Gualtiero Marchesi, secondo cui il cuoco è un cuocitore, e (cito testualmente) “il cuocitore dunque deve conoscere la materia prima e sapere tutto sulle cotture, e questa è la parte più importante”. Certo non gli intellettualismi da guru, le stravaganze fusioniste, il chiasso mediatico e l’ossessione dei social…, talora tendenze degli anni recenti.
Un ristorante della miglior tradizione italiana è, e rimarrà, materia prima e sacrificio sapiente.
Per il mio 55mo compleanno sono stato, insieme a Luisa, ospite di un’Amica e della sua Famiglia, ospite di Mina di Angela di Toni. Azzurrodue, riviera di ponente, terrazze “spalancate” sul mare, e lo scintillio di un’accoglienza premurosa prima ancora che professionale, intendo sentirsi accolto come uno di casa, uno che si ama incontrare.
Qui venerdì 25 maggio si svolgerà un viaggio etnostorico, una cena magica in 6 portate, con cui lo staff ed io abbiamo cercato di omaggiare alcune delle tradizioni ed eccellenze enogastronomiche di ciascuna provincia ligure, dato che il futuro è anche memoria…
A prescindere dalla bellezza del luogo, e dalla cura con cui Mina, Angela e Toni si orientano al cliente (quanti ristoranti conoscete dove l’extravergine in tavola è Roi?), sono felice di aver “giocato” e progettato un menu per una cucina che è l’antitesi degli intellettualismi, delle stravaganze, del chiasso mediatico e dei social…, una cucina la quale lavora in silenzio (lo fa guardacaso da una vita) cimentandosi col dantesco “provando e riprovando”, ovvero con la strategia madre di tutti i successi, quella che ti permette d’imparare anche dagli errori.
Ecco così le verdure ripiene (pre e postcolombiane) al trionfo di maggiorana, perché l’origano – qui come nel polpettone… – sarebbe un ripiego. Profumate, digeribilissime, punto.
E le acciughe impanate e fritte, pan dö mâ, pesci fitö faêti, ma con scorzette di limone candite, giusto per “pianificare” la ricetta con qualche giorno d’anticipo (la canditura aborre la fretta). Nei calici in abbinamento spanderà profumi il Felcebianco (trebbiano, vermentino, malvasia) di Ortonovo, una delle poche produzioni “dure e pure” che – a differenza d’altre in cui anni fa i difetti venivano spacciati per pregi – mi rassicurò da subito.
Ecco così i ceci in zimino con moscardino, il piatto più complesso, poiché il mollusco deve contemporaneamente integrarsi alla zuppa di legumi e bietole (solitamente servita senza null’altro) e conservarsi tenero. Al termine, nei piatti non è residuata alcuna traccia d’unto.
E i croxetti del Levante (quelli tondi e ricamati…) conditi da un sugo grezzo di muscoli e pinoli, affinché non scivoli via dalla pasta. Piatto magnifico, merito della cucina non mio, e nei calici l’Acini Rari (Pigato) della D.O.C. Riviera Ligure di Ponente, omaggio a quel Fausto De Andreis la cui meritoria cantina via via traguarderà tra non molto il quarantennale.
Ecco poi la buridda mista con crostini aglio e rosmarino, perché Azzurrodue è luogo di mediterraneità, e la buridda deve conservare un che di “portuale”, di ruvido, piatto da sciamadde, da ristori dove i camalli e i calafati si sfamavano accanto a poeti, a prostitute, a giornalisti, a snob oziosi. Nei calici il Serasuolo (Ciliegiolo in purezza) della IGT Liguria di Levante, e il vitigno linka varietalmente i frutti che avvertirete sin dal naso, dato che un bianco risulterebbe viceversa sovrastato.
Ecco infine la torta stroscia all’extravergine, alias il mito di Pietrabruna (più ricca se con nocciole), ma accostata ad una marmellata di chinotti, mito di Savona. Nei piccoli tulipani conclusivi Mina abbinerà Vin du Preve (Pigato passito) di Ranzo, un prete che evidentemente la sapeva lunga e amava “meditare”. La cantina-casetta è quella degli amici Lorena e Guido, e questo vino elegante affina la propria parabola in ceramiche “Clayver” non meno d’un anno. Madre mia quant’è mutato (in meglio) anche il modo ligure di vinificare…
Vi aspetto il 25 maggio a cena da Azzurrodue, sia che già lo conosciate (come spero) sia che per voi rappresenti invece una nuova, intrigante scoperta. Portatevi il maglioncino, mi raccomando, per godervi in tranquillità il tramonto sulle onde.
Umberto Curti