Diversità culturale e biodiversità: la ricchezza dell’ambiente e dell’incontro. Ospite del Municipio IV media val Bisagno, su invito della Biblioteca Civica Saffi in Molassana – e dinanzi ad un pubblico molto partecipe e all’Assessora alla cultura Angela Villani – ho tenuto di recente una conversazione sul tema che emerge con vigore sin dal titolo di questo pezzo.
Il 21 maggio si celebra infatti la “Giornata mondiale della diversità culturale per il dialogo e lo sviluppo”, che io lego anche al 22 maggio, “Giornata mondiale della biodiversità”. Entrambe, nella mia visione, alludono alla ricchezza dell’ambiente e dell’incontro.
Ianuensis ergo mercator: cucina genovese, una storia di incontri
Il detto anonimo “Ianuensis ergo mercator” precederebbe di poco il secolo di Francesco Petrarca, il quale scrisse di Genova (1358) “Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”. Genova è Piazza Caricamento, Sottoripa (Eugenio Montale con un felice endecasillabo ancora la definiva “paese di ferrame e alberature”), è – per così dire – le persone prima ancora che scafi, le culture prima ancora che merci, gli arrivi prima ancora che le partenze.
Il nostro ricettario stesso è un “vocabolario” di innumerevoli importazioni linguistiche, in primis dall’arabo.
Oggi, per molte e note ragioni, la nostra società prova per il mondo arabo un sentimento ambivalente. Tuttavia l’apporto islamico all’Europa medievale (secoli XI-XIII) fu intenso in varie direzioni, arte e architettura, chimica e medicina, agricoltura, astronomia, matematica, musica, linguaggio, tecnologia, tessitura…
Di rilievo, poi, s’affermarono in Europa le traduzioni arabe di antichi classici greci, fra cui il filosofo Aristotele. Tanto che, secondo alcuni, il cosiddetto Medioevo islamico espresse una netta preminenza in termini di progresso civile, scientifico e culturale…
Alcuni fra i più celebri protagonisti ne furono Avicenna (XI secolo), medico già a 18 anni; Averroè (XII secolo), filosofo giurista medico astronomo…; Al-Jazari (XII secolo), sorta di Leonardo da Vinci; Ibn Battuta (XIV secolo), viaggiatore giurista storico…
Il 18 dicembre ricorre inoltre, istituita da UNESCO, proprio la “Giornata internazionale della lingua araba”. Qui non “elenco” tutte le terre dove si parla, esito dell’espansione, in progressive ondate, che sin dal VII secolo e dal proselitismo di Maometto finì poi col lasciar tracce profonde anche in Sicilia e Spagna (e – dunque non a caso – in alcune loro ricette…).
L’influsso del mondo arabo sulla cucina ligure (ingredienti e tecniche)
Dagli arabi, in definitiva, è giunta un’importante messe di ingredienti e d’usi:
la pasta (anche ripiena, fritta…), gli agrumi, la canna da zucchero (che addolciva i “sherbet” di neve dell’Etna), l’attitudine per la frutta secca, le spezie, l’alambicco da distillazione, le tendenze all’agrodolce, e forse lo stesso biancomangiare, una crema di latte e mandorle… Mandorle che non a caso ritroviamo anche nei marzapani e torroni (ieri come oggi classici dolci da banchetto e da festività).
Il biancomangiare (blanc-manger, bramagere) è una tecnica per mangiare in bianco, prima ancora che una sorta di budino alle mandorle (o preparato con latte di mandorle), d’ascendenza medievale, forse ieri più celebre e diffuso di oggi, e che l’Italia peraltro propone(va) in molte versioni, dalla Sicilia, all’Artusi romagnolo, alla val d’Aosta… In origine era salato, con pollo e lardo, ma i banchetti rinascimentali ne videro poi anche versioni con pesce, zuccherate… Notevoli le somiglianze col goloso muhallabi della cucina levantina (Libano, Turchia).
E agli arabi dobbiamo la frutta “candita”, dall’arabo qandi che allude al succo di canna da zucchero concentrato dentro cui le frutta via via schiariscono…
Nel 1863, ovvero 28 anni prima dell’Artusi, a Genova si stampa “La cuciniera genovese” di GioBatta Ratto, che avrà radiose ristampe. Un forziere di quasi 500 ricette, che nell’edizione di lusso costava 4 lire. Fra le dolcezze compaiono pasticcini con la marmellata (i “cobeletti”), budini “biancomangiare” (ricetta n. 439), caramellati, anicini, croccanti, ciambelle di pasta di mandorle (“canestrelletti”), numerosi “quaresimali”, numerosi biscotti, alcuni canditi, varie frittelle, e una varietà di torte (d’arancio, di mandorle…) cui talora non far mancare spezie…
Questo bendidio ovviamente si arricchiva a Natale (ma anche a Capodanno ed Epifania) del pandöçe, molto amato e corroborante, a base di pasta madre, precedente al panetùn di Milano, tanto che alcuni lo “ascendono” al Paska, rito persiano dalle molte analogie, fra cui di nuovo frutta secca e candita…
Cucina ligure, i ponti verso il mondo
Ma altre diversità, che diventano incontri, getterebbero ponti tra Liguria e Provenza (la socca, la pissaladière, la tapenade, la brandade de morue, la bourride, la ratatouille), verso Carloforte (la focaccia, il pesto, la casòlla, la bobba, le cipolle ripiene, i pesci fritti con l’agiadda, i canestrelli…), e l’Ecuador della guatita, o l’Argentina della fugazzeta, degli ñoquis, della milanesa (e di quell’asado che celebra le radici, il ritorno, le bilateralità…), e infine – but not least – il Brasile dei bolinhos de bacalhau, quel Brasile dove mio padre Alfredo (leggete di lui su Wikipedia) entrò una vita fa nel Mato Grosso per filmare assai coraggiosamente alcune tribù d’indios…
Buon appetito o prima ancora buon viaggio?
Umberto Curti