Io non appartengo a coloro che “patiscono” il Natale, e si lamentano per i regali vissuti come un obbligo o per i parenti con cui non vanno d’accordo… No, io non appartengo a costoro.
La mia famiglia d’origine è ormai, purtroppo, un ben lontano ricordo, ma mi tornano alla mente, con una certa saudade, i riti ed i luoghi dello shopping (anzitutto i carruggi, “illuminati” dalle vetrine) e del cucinare che caratterizzavano le Feste di allora…
Preparavamo l’abete (non il presepe), e poi anche in casa mia Natale significava pandolce, e Capodanno significava cotechino con le lenticchie (beneauguranti, no?).
Ho conosciuto Lino La Iacona alcuni anni fa, questo signore che la Sicilia ha regalato a Genova, questo ragazzo di 76 anni che ha fatto della sua elegante pasticceria-cioccolateria in via Bensa 26 un luogo dove prima di tutto “condividere” le bontà che si assaggiano e si acquistano.
Un luogo dov’è bello fermarsi anche solo per un caffé.
L’ho conosciuto perché entrambi crediamo nel lavoro, nella conoscenza, nei giovani (lui li “arruola” nel suo laboratorio, io li “formo” nelle aule della formazione professionale), e crediamo in quella trasmissione del sapere che varrà come strumento indispensabile per perpetuare il made in Italy, per attrarre turismo esperienziale di qualità, per affermare buonessere.
In quella bottega tra la Zecca e la Nunziata (ad un passo dai Rolli, dal Museo mazziniano, dalle affollate sedi universitarie umanistiche…) troverai, amico Lettore, una famiglia “come una volta”, che potrà raccontarti brioche, sfogliatelle, cavolini, bigné, babà, krapfen, bavaresi, krantz, sacher, sacripantine, meringhe, anicini, canestrelli, savoiardi, praline, ginevrine alla menta, violette. foglie di menta e petali di rose cristallizzati… A te la scelta e buon pro ti faccia.
Sappi inoltre che, nello spazio attiguo alla vendita, La Iacona espone – come in un piccolo museo – alcuni antichi macchinari e oggetti di lavoro, che consentono un viaggio nella miglior storia artigiana. V’è cura in ogni dettaglio.
Natale, ho appena scritto, anche in casa mia significava pandolce. Quest’anno, sia la versione del pandöçe zeneize alta (più “antica”, impastata con farine di forza e lievitata col crescente naturale) sia la versione bassa (ottocentesca, impastata con farine più deboli e lievitata coi baking chimici) sono “made in La Iacona”, prodotti con un livello di materie prime ed un rapporto qualità/prezzo quasi irripetibili presso le altre eccellenze cittadine.
“Coroneranno” la tavola al termine del menu di pesce che con Luisa immagineremo per il Natale, e del menu di terra per il Capodanno. Peraltro, sono prodotti che conosco già bene, in particolare la versione alta, quella più complessa a prepararsi, nonché quella meno reperibile in commercio.
Il pandolce alto di La Iacona è profumato, cotto alla perfezione, molto ricco (cedro vero, pinoli tostati…), propone una masticabilità morbida e appagante. L’impasto – si avverte – nasce attorno ad una pasta madre matura al punto giusto (il pH ottimale di questo prefermento si aggira intorno a 4-4,2…), la quale non rilascia quella nota acidula che, legittimamente, “spiace” a tanti…
Un tulipanino di passito a bacca bianca, poi, servito a 8-9°C (le bollicine del Moscato sposano meglio i cosiddetti grandi lievitati come il panettone milanese o il pandoro veronese), magari addirittura uno Sciacchetrà delle Cinque Terre, la DOC più verticale della Liguria, ci permetterà un brindisi di buon auspicio, e – come si suol dire – una meditazione: che il 2024 sia anzitutto un anno di salute e di serenità, di “ravvedimenti” e di benessere.
Per un mondo che – fra pandemie, guerre, disparità sociali, scandali – troppo spesso pare, come Shakespeare faceva pronunciare ad Amleto, “fuor dei cardini”.