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Biscotti del Lagaccio

La parola biscotto significa doppia cottura, in Liguria è termine anche da ceramisti, indicando il prodotto non ancora dipinto o smaltato. Panis nauticus per la sua conservabilità, in forma di buccellato era anche nelle scorte dei legionari, mentre in età medievale prese il nome di panis siccus, “da viaggio”. La diffusione dapprima dello zucchero di canna e poi di barbabietola fu la premessa al boom salottiero ottocentesco e alle scatole di latta da collezione. Aldilà degli scambi commerciali e di alcuni usi divenuti “rituali”, i biscotti in Liguria appartengono principalmente a 3 tipologie: appunto i biscotti del Lagaccio (il Ratto (cuciniera del 1863) non vi indugia troppo, Emanuele Rossi (1865) li ignora, il bonvivant Beppe Gavotti vi si sofferma),  gli anicini, i canestrelli. Questi prendono il nome dalla “cisterna” (v’annegarono poi molti fanciulli ed oggi prosciugata) che l’ammiraglio onegliese Andrea Doria fece realizzare a Genova-Granarolo nel 1539 per alimentare la fontana del sottostante palazzo, eretto vicino al mare. Li usavano in una torta e li cita un po’ nostalgicamente anche il poeta nobél Eugenio Montale. Friabili e “croccanti” (no uova), aromatici, stanno in forno per la cottura finale una mezz’ora. Tradizionalmente si spalmano di burro e confettura, o miele, e s’appoggiano benino ad un passito, in Liguria sua maestà lo Sciacchetrà, in Toscana un vin santo (cioè dell’isola greca di Santorini?…). In Sarzana (SP) e altrove sono chiamati “biscotti della salute”.
A questo link hai come sempre la mia ricetta https://liguricettario.blogspot.com/2010/10/biscotti-del-lagaccio_28.html

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Umberto Curti
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