23 ott 2020  | Pubblicato in Ligucibario

Un Master in carbonara

Il 25 ottobre ricorre, come ormai da 22 anni, il “world pasta day“…, e riesce facile immaginarsi lungo la Penisola un carosello tricolore di trenette e lasagne, di spaghetti e pizzoccheri, di rigatoni e cavatelli, di fettuccine e orecchiette…
Spaghetti e rigatoni, dicevo… Un paio di settimane fa, quando ho saputo che saremmo partiti in direzione Roma per un weekend “lungo” intorno a una partita di tennis, ho iniziato immediatamente un’accurata selezione di ristoranti. Sono il classico tipo di persona che si può tranquillamente definire cibopatica, in vacanza divento pessima compagna se non ho mangiato (bene) quello che dico io, nel ristorante che ho scelto io… Una sorta di dittatura che alla fine però appaga sempre anche i miei compagni di viaggio, più pigri e meno propensi a perder tempo per un aspetto che (loro, beati!) reputano secondario. E già, perché districarsi nell’offerta culinaria in genere, ma soprattutto in quella della Capitale è tutt’altro che semplice (fonti internet contano oltre 10.000 ristoranti). Un tempo funzionava il passaparola o il suggerimento “disinteressato” della persona del posto, poi tutti ci siamo un po’ stufati di mangiare nella trattoria del cugino del taxista…, e così abbiamo optato per metodi più attendibili.
Io ne ho adottato uno piuttosto laborioso, che prevede l’incrocio di varie fonti e dati: seleziono alcuni blog – a mio avviso – affidabili, consulto poi l’app Tripadvisor – che quest’anno compie 20 anni! – , cerco e spero di trovare il sito internet ufficiale del ristorante – da considerarsi una cartina tornasole del messaggio che gli “osti” stessi vogliono far passare – , per finire – come in un esperimento di Pavlov? – sulle foto di Instagram dove il locale ed i suoi piatti più fotogenici vengono taggati.
È sottinteso che vado alla ricerca di cucina autentica, e quella capitolina è abbondante: i carciofi alla giudìa, il supplì (come tutti noi al telefono, passatemi la battutaccia), l’abbacchio alla scottadito, la porchetta, il quinto quarto (1) fra cui memorabili code alla vaccinara, la crostata di ricotta e vìsciole, il maritozzo (e molti altri), ma soprattutto la pasta. In rigoroso ordine alfabetico – e con le maiuscole – Amatriciana, Cacio e Pepe, Carbonara, Gricia e Pajata. Sembra di riudire la voce della Sora Lella (ovvero Elena Fabrizi), il suo locale all’isola Tiberina – tuttora attivissimo – è giù inciso nel libro dei miti.
Avendo pochi giorni a disposizione ho deciso, a mio insindacabile giudizio ma soprattutto a mio rischio e pericolo (coronarico), per una full-immersion nel piatto romano per eccellenza: la carbonara (Ligucibario l’ha già celebrata a questo link), assicurandomi un tavolo per le 4 serate in altrettanti posti conformi alle mie attese. Che siano spaghetti o rigatoni, Roma nun fa’ la stupida stasera…
Vediamo, in un’ottica di marketing operativo, come ai giorni nostri si possa disporre di anteprime (il cliente) così come si possano creare delle vere e proprie aspettative (il ristoratore) ancor prima che venga varcata la soglia di un locale.
Partendo dall’alto: a Roma i ristoranti dell’olimpo stellato sono 18 (da Michelin 2020) e hanno tutti, immancabilmente, un curato sito internet bi-lingue, anzi alcuni prediligono la lingua inglese, con la possibilità di consultare il menu, sia alla carta che degustazione, nonché di prenotare, secondo disponibilità, tramite delle agevoli app. Le note dolenti, oltre “comprensibilmente” al prezzo, sono due: la prima è la politica del no-show che prevede – per lo più – l’obbligo di comunicare i dati della carta di credito, e qualora non vi presentaste (senza avviso entro le 24 h antecedenti la prenotazione) vi sarà addebitato il valore dei relativi menu degustazione non fruiti. L’altra nota per me ancor più dolente è, spesso, un elenco di piatti sofisticatissimi ma l’assenza di quello che volevo assolutamente degustare. E poi, diciamocelo, voler mangiare cucina tipica ed andare in un ristorante stellato è un po’ un ossimoro, perché “Co’ 80 grammi de pasta te posso solo dì si è cotta!”.
Pertanto, tornando al mio metodo, nonostante numerosi siti/blog suggeriscano stellati anche a prezzi abbordabili, le recensioni siano positive, e le foto da urlo, avendo personalmente come focus la pasta (cucinata coi condimenti sopra descritti) io passo alla seconda categoria: le cosiddette trattorie 2.0 (o almeno qui le chiamerò così per distinguerle dalla terza tipologia che verrà in seguito presa in esame), ossia quelle osterie che, pur proponendo menu tipici, hanno altresì intrapreso un significativo percorso evolutivo-moderno, che si rispecchia sia nella proposta che nel marketing. La tradizione culinaria viene rispettata q.b., nella carta non mancano mai i classici, ma si lascia al commensale la scelta di giocare con una “carbonara da passeggio” , con un “maritozzo saltato”, o di finire un ipercalorico pasto con una “carbonara dolce” eseguita con julienne di mele e salsa di yogurt allo zafferano… Il marketing di queste trattorie 2.0 è molto efficace, si sono dotati, come i cugini nobili decorati con stella – per intenderci – , di siti internet altrettanto interessanti e piacevolmente navigabili, e numerosi blog ne parlano (a dire il vero parlano sempre degli stessi 20 o 30, e mi si sono incrociati gli occhi a ritrovare sempre gli stessi nomi in articoli che titolavano “Gli indirizzi per la Miglior Cacio e Pepe”, “5 locali che dovete assolutamente provare”, “La miglior Pajata della vostra vita” ecc… ma tant’è alla fine hanno saputo posizionarsi in quegli elenchi); Tripadvisor stesso ne conferma l’affidabilità (non sempre, talvolta vi è qualche stroncatura che, se giustamente argomentata e leale, val la pena prendere in considerazione), e soprattutto l’attività social (Instagram ed il suo #carbolover vince su tutti) è vivace ed invogliante…
Per finire vi sono le osterie vecchio stampo, che presentano in menù solo i grandi classici, spesso non hanno sito internet e se ce l’hanno non è aggiornatissimo (alcune dispongono di Facebook)… Ovviamente quelle che hanno saputo aggiornarsi, non negli arredi ma nei modi di comunicare, catturano certo meglio l’attenzione, le altre vivono di una fama e di una rendita che tuttavia, da sola, talvolta ormai non bastano a farsi conoscere e a tenere il passo con la concorrenza.
Volete infine sapere delle mie “vacanze romane”, delle mie cene, e delle carbonare (and the winner is…)?
(1) se vi appassiona il tema frattaglie, trippe, interiora, a questo link la recensione ad un libro che davvero fa per voi…
Emanuela Baccino
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