21 gen 2024  | Pubblicato in Ligucibario

Once upon a time la Foce

la foce di genova sotto una delle ultime nevicate

la foce di genova sotto una delle ultime nevicate

La Foce in alcuni dei miei primi amarcord è un micropanificio di corso Torino, dove la mattina – alunno alle elementari “Colombo” di piazza Savonarola – compravo come tanti miei compagni 2 focaccine tonde per 30 lire l’una. Pochi metri più avanti, in direzione nord, operava una rosticceria dove qualche mio compagno “osava” il cannolo di sfoglia salata col würstel. Un’altra rosticceria, monumentale, sempre in corso Torino ma direzione sud, era “Pietra”, dove due ampie vetrine su cui schiacciavi il naso ospitavano quasi sempre i must del tempo, la russa la capricciosa la savoiarda…
Prima di abitare in via Nizza abitai brevemente in via Maddaloni, e prima ancora in corso Buenos Aires: lì ricordo “Boglione”, una pasticceria-drogheria gestita da una coppia ormai di anziani, dove una volta con un po’ di risparmi comprai una sontuosa scatola di cioccolatini per mia madre, la quale mi rimproverò per come avevo “sperperato” troppo denaro… Accanto a Boglione trovavi la boutique “Franco”, e dirimpetto trovavi (e trovi!) “Panarello”, coi krantz, le celebri torte e ciambelle (e poi via via le panarelline con una crema al burro tipo “Zena” e la splendida “mescolanza” venduta in sacchetti), e accanto a Panarello facevano bella mostra di sé le particolari insegne dei “Fratelli Panina”, forniture per sarte. Verso piazza Tommaseo la bottega “Armanino” (Deogratias tuttora attiva in Sottoripa) sciorinava frutta secca, disidratata, candita, conserve, marmellate… E verso viale Brigate Bisagno ricordo un negozio di dischi, dove nel 1978 comprai “Una donna per amico” di Lucio Battisti (ancora coi testi di Mogol) e lo splendido “52nd street” di Billy Joel. Di fronte, una libreria.
Qualche volta, da bambino, mia madre mi “costringeva” a far spese insieme a lei: ma al mercato rionale di via della Libertà (uno dei 3 accessi) sovente un salumiere mi lusingava, e rasserenava, con un bel tocchetto di Parmigiano. Pane significava “Bocci”, in piazza Paolo da Novi, che sformava anche una cremosa focaccia con formaggio e prosciutto, non so dirti se l’attuale panificio si chiami ancora così. Le scarpe (le prime College…) erano quelle di “Gino calzature”, in corso Torino, e poco lontano operava un negozio di giocattoli, dietro il bancone un signore con gli occhiali “mercanteggiava” con mia madre le automobiline (mia sempiterna passione) e i mattoni Lego. Sull’altro lato del corso, direzione sud, poco prima di “Pietra” ricordo la pasticceria “Dria”, che aprì in quegli anni ed è tuttora attiva, e una cartoleria fornitissima di DAS, Vernidas e Pongo, quei materiali diabolici con cui – non so te – io personalmente non sono mai riuscito a plasmare e colorare alcunché di guardabile. I libri di studio – sussidiario “Il perché delle cose” e libro di letture “Prime meraviglie” – si ordinavano all’inizio dell’anno scolastico in via Maddaloni, nella libreria della signora Rosa Trucco Melai. Le carni erano sovente quelle di “Balleari” in piazza Tommaseo. Non entrammo mai, viceversa, nella tripperia all’angolo fra corso Torino e via Barabino, sebbene mia madre cucinasse con una certa frequenza la sbira (dove comprava le trippe?). Così come non ho memoria di un bar, “Igea”, all’angolo fra via Casaregis e via Cecchi, dove ho letto che anni fa si riunivano alcuni noti cantautori. In via Cecchi, direzione viale Brigate partigiane, di fronte all’immensa chiesa dove dalle mani di Padre Felice presi la Comunione il 2 giugno 1972 e successivamente la Cresima, incontravi un ampio showroom di stoffe, la figlia del proprietario fu poi mia compagna al ginnasio, suo padre e il mio curiosamente acquistarono entrambi, negli stessi giorni, una Alfa Romeo Giulietta 1.3 bianca, le targhe erano quasi identiche, GE 69… La prima serie di quell’auto, in un’Italia reduce dall’austerity e dalle Giulia, fu quasi tutta con motorizzazione 1.3.
Periodicamente, quand’occorreva, mi tagliava i capelli “Carmelo”, in via Magnaghi, vicino al negozio di colori e vernici per l’arte, Carmelo siciliano doc, cui poi s’affiancò il figlio Francesco, detto Titto, che si cimentò senza grandi successi col calcio dilettantistico.
Il quartiere era molto vivo, incontravi anche varie sale cinematografiche: l’Augustus (ora sala scommesse), l’Orientale (poi Ambassador e relativa programmazione porno), l’Italia (poi Plaza, dove impazzii per “Ecce Bombo”), l’Aurora (poi locale da ballo). Innumerevoli le edicole. E qualche domenica (o dintorni) la mia famiglia si concedeva il ristorante: in particolare pranzavamo da “Mentana” in corso Marconi (oggi pizzeria) e da “Alemanni” in via della Libertà (oggi, direi, anch’esso pizzeria). Non so se “Piedigrotta”, la nota pizzeria della famiglia Vaccaro, si chiamasse ancora “Manentaccio”, forse no, e comunque a quei tempi proponeva un buffet di antipasti freddi molto abbondante e invitante. “Tugnin” in piazza Tommaseo era viceversa il classico ristoro che t’ingolosiva coi piatti della tradizione, farinate, torte di verdura… L’aperitivo si beveva al bar “Ratti” di piazza Palermo (accanto all’omonima rosticceria del burbero ma capacissimo Valerio), o da “Molinaro” all’imbocco di via Rimassa, dove sostavano al capolinea i filobus della linea 30 (poco lontano, se ben ricordo, aveva lo studio il professor Taschini, pediatra molto apprezzato, il quale una volta mi ficcò una sorta di cucchiaio in gola senza alcuna pietà per i miei piagnistei).
Attorno ai 10-11 anni, poiché pur comprando 100 merendine “Tin tin” al giorno non mi riusciva di vincere la bicicross messa in palio nelle confezioni, i miei genitori mi portarono da “Franceschini”, all’inizio di via Cravero, una sorta di miniofficina dove si riparavano e vendevano biciclette. La figlia dei proprietari (che credo fossero reggiani) era mia compagna di scuola, una ragazzina già allora alta, matura e solare. Quella miniofficina, forse lo sai, negli anni successivi divenne uno dei più importanti rivenditori di moto da cross e poi di scooter.
Mia moglie, nata in corso Dogali, “lassù” a Circonvalmonte, ha da parte sua sempre adorato la Foce, soprattutto per la vivacità commerciale. I suoi ricordi, ora più datati ora più recenti, si legano maggiormente alla pelletteria “Carbone” in via Rimassa, ai filati di “Arianna” in piazza Rossetti, e alla gioielleria “Cristin” in piazza Tommaseo. E da “Balilla”, in via Finocchiaro Aprile, mi regalò qualche modellino per la mia collezione e la mia regressione all’infanzia.
Salvo 3 o 4 casi, di fatto tutte le attività che ho menzionato sono scomparse. Molte cose in generale sono cambiate nel volger di pochi decenni, non un’era geologica.
Tu diresti in meglio?
Umberto Curti
umberto curti

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