Perchè marketing e pubblicità non sono la stessa cosa? Rispondo a questa domanda in questo articolo, che focalizza il contesto della microimpresa.
Attraversiamo una congiuntura economica che a livello internazionale ha brutalmente messo in difficoltà le imprese più fragili e consistenti fasce di popolazione, le quali – di conseguenza – hanno ridotto alcuni consumi finali.
Molte imprese provenivano peraltro da crisi preesistenti al covid, dovendo via via fronteggiare nuovi concorrenti, continue deregulation, rapidissimi mutamenti di scenario distributivo, tecnologico, ecc.
Tale quotidianità complessa che impatta su aziende, cittadini e consumatori non deve tuttavia precludere la riflessione sul domani, e sulle possibilità di ripresa. Tenendo a mente le parole del famoso generale von Clausewitz, quando sosteneva l’impossibilità di vincere le battaglie future tramite l’utilizzo delle stesse strategie impiegate nelle precedenti.
Piccolo è bello? Le sfide della microimpresa
I settori più presenziati da microimprese, sovente a conduzione famigliare (turismo, commercio, ristorazione, artigianato…), sono già da anni chiamati ad innovare, competere, formarsi, misurarsi con cambiamenti che hanno posto in discussione tutte le pseudo-certezze di ieri, le rendite di posizione, le difese corporative. Purtroppo, non si sono generalmente rivelati molto sensibili…
Nondimeno si rammenti che i borghi storici, il cibo, lo shopping, i prodotti autoctoni, il miglior made in Italy autentico incarnano specificamente quel che fra oggi e domani molti turisti chiedono e chiederanno al nostro Paese, intendo riferirmi ad esperienze emozioni sapori relazioni (non più solo cattedrali, musei, castelli, palazzi), intendo riferirmi al why del genius loci, delle suggestioni e dell’accoglienza ad hoc anziché il mero where dei luoghi “turisdotto”.
Purtroppo, non di rado, i censimenti istituzionali svelano – anche per la Liguria – che il numero delle imprese che aprono non pareggia il numero delle imprese che chiudono… Io non mi accontenterei di definirlo un fenomeno fisiologico, perché la mia professione (con Luisa Puppo conduco la più antica società di consulenza attiva nel marketing e nella formazione di settore in Liguria) rifugge dai qualunquismi, e perché dietro alle cessazioni e a taluni frenetici turnover gestionali si cela sempre la drammatica realtà delle aree urbane che s’impoveriscono, dei business plan inefficaci, degli investimenti non mirati, delle frustrazioni personali connesse all’insuccesso (e qui penso anche a tanti giovani che si cimentano, non ultimo in Liguria, nel cosiddetto creaimpresa, ma talora pagando lo scotto dell’inesperienza)…
La pubblicità non è l’anima del commercio
Se – un’era geologica fa? – vigeva lo slogan secondo cui la pubblicità è l’anima del commercio, e dunque chi ha risorse per farla primeggerebbe sui mercati, il mio personale e accorato appello si posiziona oggi in senso opposto, contesta quello slogan, in molti casi la pubblicità non è l’anima del commercio, ma semplicemente una sirena tentatrice o, comunque, soltanto uno degli strumenti utili all’impresa per posizionarsi sul mercato.
La pubblicità sui media comunemente identificati, infatti, e più di recente sui social, risulta in genere come il più dispendioso fra gli investimenti in comunicazione, e sovente non permette una misurazione reale dei ritorni. Inoltre, molte piccole imprese tendono – pericolosamente – a mutuare strategie pubblicitarie adatte a realtà di ben diverse dimensioni e natura, e che dunque sortiscono effetti limitati o nulli.
In tal caso, cioè laddove l’investimento risulti improduttivo, ecco che i budget spesi possono diventare un “boomerang” esiziale per le sorti di molte micro-realtà aziendali, incapaci di “riaversi” in termini di cashflow dal cattivo esito. Si tratta peraltro di effetti tendenzialmente discendenti da due cause principali: la prima si lega – appunto – alla convinzione errata che marketing significhi tout court pubblicità; la seconda alla certezza “cieca” che la pubblicità tutto possa, anche ciò che non è di sua stretta competenza e anche allorché l’impresa viva difficoltà di varia origine, endogena ed esogena.
Tuttavia (allarme rosso), esiste molta pubblicità idonea a far soprattutto, se non unicamente, la fortuna dei pubblicitari, dei grafici, delle web agencies, delle concessionarie degli spazi in vendita.
Tutto si è ormai confuso, tutti fanno e propongono tutto (PR, social, eventi, dépliants…), e purtroppo sono spariti i veri esperti. La mia personale esortazione alle imprese, dunque, è quella di rivolgersi preferibilmente a soggetti in grado di affiancarle con strategie complessive ispirate al vero marketing, a soggetti che non si limitino a suggerire campagne pubblicitarie e “ospitate-spot” ora più ora meno costose. Che potrebbero essere scorciatoie utili solo, per così dire, a lusingare l’ego dell’impresa.
Cosa è il vero marketing?
Il marketing è un sistema globale di analisi mirate, manovre operative e verifiche costanti, che attraverso 4 variabili (il prodotto, la distribuzione, il prezzo, la comunicazione), cui ora s’aggiunge talvolta la cosiddetta quinta ‘p’ (people) indicante le risorse umane, differenzia l’impresa sensibile e flessibile da quella che persevera in comportamenti superati o inidonei. In altre parole, differenzia (e sensibilizza) l’impresa che correttamente individua e appaga i propri target dall’impresa che pratica un’offerta non competitiva, o nocivamente indifferenziata.
Il cammino può talora apparire impegnativo, ma solo attraverso un approccio d’insieme, ispirato dunque al marketing, è possibile attivare davvero nell’impresa (e in tutti coloro che vi lavorano) quei meccanismi che assiduamente la orientino ai target, le conferiscano “unicità”, la posizionino nel cuore di alcune fasce di clienti, anche – beninteso – attraverso la comunicazione e le azioni pubblicitarie.
Questa è la strada per la sopravvivenza oggi e per il profitto domani. Tuttavia nessuna pubblicità, da sola, può (né potrà mai) realizzare tanto. Mi piace concludere con una frase attribuita a Dan Kennedy: “La mente, come un paracadute, ha più valore se aperta”. Meditate, imprese, meditate, c’è in gioco il futuro (e la prossima generazione).
Umberto Curti