L’estate, con le canicole, da sempre “alleggerisce” i piatti, francamente cucinare pietanze elaborate davanti a fuochi accesi può, durante alcuni mesi, essere un supplizio prima che un piacere…
La cucina ligure è, come noto (e mi approprio di un claim di cui fui proprio io l’autore), una “cucina di bordo, di porto, di orto”, il mar Mediterraneo – Ianuensis ergo mercator – si confronta subito coi muretti a secco, coi declivi collinari e montani dove vite e ulivo contendono le fasce terrazzate agli ortaggi, e soccorre il ritorno dei naviganti con la salubrità delle verdure, il profumo delle erbe aromatiche, il “fitö faetö” di piatti che con poco regalano tanto…
E’ dunque, l’arte culinaria ligure, un insieme in gran parte coerente in primis per la propria capacità di aggregare culture, parole, tradizioni, sapori, intuizioni, ruralità. I nostri piatti senza cottura sono anzitutto le acciughe all’ammiraglia, la capponadda di Camogli, con la mitica galletta, e il condigiùn già più ponentino, le salse da mortaio e – come sempre – non intendo certo solo il pesto, il pesce crudo marinato a secco (sul lungomare di Varigotti, una vita fa, passavano nasellini nel sale e zucchero (65% e 35%) ben prima che la parola sushi approdasse ai nostri menu…), il tramezzino cosiddetto zeneize ovvero con tonno, maionese e lattuga, che malgrado le semplici apparenze può causare dipendenza psicofisica…
Si noti che con tutte queste leccornie – quasi mai impegnative per la digestione – il vino in abbinamento potrà essere preferibilmente bianco, ad es. Vermentino e Bianchetta, servito a 10°C in tulipani a stelo alto, e beninteso viceversa un Pigato con quelle salse al mortaio che esaltino l’aroma del basilico, o della menta…