Questo tragico coronavirus ha ancor più intensificato, ove possibile, la quantità degli interventi sui social.
Si legge dunque – a prescindere da illeggibili deliri e fake news – un po’ ogni cosa, il canonico “andrà tutto bene” e l’esortazione a stringere i denti, la sempliciotta analisi economica e la profezia sociologica, l’etimologia di crisi, che significherebbe cambiamento, e la polemica già pre-elettorale.
A me viceversa sorgono sempre 2 domande, presumo più cogenti.
La prima: si occuperanno della nostra “ripresa” economica anche parte di coloro i quali tanto hanno già nuociuto al Paese, talvolta finendo inquisiti o condannati?
La seconda: e noi tutti, da parte nostra, riprenderemo imperterriti coi comportamenti (e i consumi) dissennati di ieri, gli stessi egoismi le arroganze le superficialità? Con le nostre code della domenica in autostrada, tutti fermi sotto il sole bruciando carburanti? Coi nostri shopping di superfluo mentre intanto postiamo un selfie? Con la nostra mancanza di senso civico mentre “smaltiamo” la vecchia lavatrice in un bosco?
Io, insieme a Luisa Puppo, e cercando di mantenermi indipendente fra tanti che tirano la giacchetta al potente di turno, mi occupo da molti anni, com’è noto a chi mi legge, di turismo e d’enogastronomia, una diade di discipline contemporaneamente umanistiche e tecniche. Poche altre infatti denotano una tale “trasversalità”, nel senso che turismo ed enogastronomia significano territorio, tradizioni, management, trasporti, servizi, convivio…
In questi giorni sento parlare, ed in parte concordo, di turismo “domestic”, di sostenibilità ambientale * , di scoperta o riscoperta di mete ulteriori e meno consuete, di soggiorni ed esperienze ** che davvero – sperabilmente – svelino l’anima dei luoghi, aiutino il silenzio e la riflessione, via dalle massificazioni mordi-e-fuggi, via dai turisdotti ove affollati (Barcellona, Baleari, Venezia…), e lontane anni luce da tanto altro che in questi decenni ha snaturato l’essenza del viaggiare per vacanza.
Temo tuttavia che, al di là del coronavirus, molti dei nostri comparti economici e delle nostre (micro)imprese si confermeranno, ove non intervenga un reale ripensamento dei modi di operare e finanche di vivere, vulnerabili da altre minacce.
In questi tempi, di globalizzazione e di (macro)oligopoli, tout se tient, tutto purtroppo è collegato a tutto: non sono un adepto di Rousseau o di Whitman, ma inquinamento, dissesto idrogeologico, deforestazioni, cambiamento climatico, abusivismo edilizio, corruzione, “worst practices” agro-alimentari, robotizzazioni del lavoro ed altri fenomeni *** paiono sempre più legati da un filo rosso. E producono uno scenario, anche in termini di competizione di mercato, nel quale è sempre più difficile sia sopravvivere come individui sia proteggersi come soggetti economici (ed alla lunga nessun protezionismo è efficace).
I nostri sistemi locali si caratterizzano anzitutto per basse patrimonializzazioni, ritardi digitali, rara propensione al longlife learning. Sapranno porsi in discussione? Prevenire i mutamenti? Formarsi al fronteggiamento del nuovo che spietatamente avanza? Asservire le tecnologie a precisi fini di marketing anziché subirle? Parlare le lingue del cliente? Costruire un turismo nel quale ritorni centrale il contenuto dell’interazione culturale con l’altro? Privilegiare i prodotti del territorio e delle filiere brevi anziché emulare mode e lessici d’altrove? Far sistema invece di ostinarsi nell’individualismo più monadico?
Ai posteri l’ardua sentenza, ma il tempo stringe, e non si tratta più di (mero) profitto. Come ammonisce il celebre cantautore, “la storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso”. Ed un Paese che s’ostinasse a non premiare talento e merito domani perderà davvero la “p” maiuscola.
* ma avrebbe forse diritto di esistere un turismo che fosse “insostenibile”? Un overcrowding che ponesse a rischio – come spesso è avvenuto – l’equilibrio stesso dei luoghi?
** turismo esperienziale è ormai espressione sulla bocca di tutti, e perciò (purtroppo) arriva a significare tutto e il contrario di tutto. Io però sono fra quelli (immagino pochi) che al tema hanno dedicato anche un libro quanto mai “operativo”, se il tema ti appassiona o ti riguarda vedilo al link https://www.sabatelli.it/?product=libro-bianco-del-turismo-esperienziale-e-foodcrafts
*** mi riferisco infatti ad una crisi che è lavorativa ma è anzitutto crisi dell’uomo, soffocato dalla precarietà e dall’alienazione, da meccanismi che di giorno in giorno “accelerano” le distanze tra chi ha troppo e chi troppo poco
Umberto Curti