9 mar 2016  | Pubblicato in Ligucibario

Carni rosse, salumi, insaccati ed altri allarmi 2

Salumi e galantina

Galantina, una tradizione anche ligure

Carni rosse senza mai eccedere e carne processata solo sporadicamente, le regole di buonsenso della frugalità antica e la scelta della qualità artigiana

L’Italia è un Paese che gastronomicamente appartiene in gran parte all’area “mediterranea” (cereali, ulivi, vigne, pescato…) e – allo stesso tempo – è patria di carni, salumi e insaccati d’eccellenza. Ma che cosa mangiare è decisione che dipende, oltre che dalle possibilità e dai gusti, dal buon senso di ciascuno ed, eventualmente, dai consigli “ad personam” di un medico dietologo, ripeto: anzitutto di un medico dietologo, dato che la salute va sempre posta nelle mani di uomini di scienza, i quali, a differenza dei santoni, praticano meritorie filosofie cartesiane. Mangiare male, del resto, non espone solo a maggiori rischi di cancro, ma anche a molte altre spiacevolissime patologie.

Malgrado la recente affermazione dell’OMS “Carni lavorate e insaccati sono cancerogeni”, non v’è molto di nuovo sotto il sole, se, guarda caso, a partire dal celebre Ancel Keys, morto centenario in Cilento, la notissima “piramide” pone da sempre sui primi livelli, fra gli alimenti da consumare quotidianamente o quasi, i cereali integrali, la frutta, i legumi, alcuni pesci… E sul livello sommitale, fra gli alimenti da consumare con estrema moderazione, le carni rosse e il burro, per non parlare dello strutto…

Ciò non toglie (si sa) che diete rigidamente vegetariane possano esporre quasi sempre a carenze di vitamina B12, di ferro, di zinco…, e come noto la privazione della carne obbliga a recuperare proteine da altre fonti, in primis i legumi. Donde, è verosimile che anche l’annosa querelle fra carnivori e vegetariani non si placherà mai (nel costante auspicio che non degeneri in fanatismo intollerante).

Carni e salumi sono peraltro vocaboli che in sé non dicono niente, ove privi di specificazioni. La carne può infatti esser bovina o no, quarto di pregio o frattaglia, fresca, ricomposta, separata meccanicamente… I salumi possono essere suini, misti, crudi, cotti, affumicati, insaccati e non… Fra una splendida galantina artigianale e un würstel industriale di bassa qualità, venduto a prezzi bassissimi, corrono, evidentemente, abissali differenze.

Ma in generale le carni cosiddette “processate” contengono meno acqua e maggiori quantità di grassi, vitamine, proteine…, risultando di solito assai caloriche. Uno dei punti critici è rappresentato soprattutto dai conservanti, perché oltre al sale molte di queste carni propongono, anche al fine di prevenire il botulino, additivi chimici quali nitrati e nitriti, si tratta di sali d’azoto presenti talvolta in quantità che declasserebbero un’acqua a non potabile… Tali additivi sono stati sovente associati ad un aumento dei rischi di cancro dell’esofago e dello stomaco.

Solo qualche concetto, dunque, per tentare infine un poco di chiarezza: le carni rosse (manzo, maiale, agnello, cavallo…) sono classificate “classe 2A” in termini di potenziale cancerogeno, le carni processate sono “classe 1” (1): ciò significa, pare di capire, che mentre per le carni rosse è arduo pronunciarsi oltre una mera, eventuale probabilità di correlazioni, quelle processate possono aumentare il rischio di contrarre alcuni tipi di cancro (colon-retto eccetera), anche se non si giunge ad un vero e proprio rapporto causa-effetto. Ovvero, pare di capire, esse sono cancerogene nella misura in cui elevano il pericolo, tenendo ovviamente conto (per valutare ove un pericolo teorico diventi reale) di quali e quante se ne mangino, e da quanto tempo. In effetti, secondo recenti stime circa “Il peso mondiale della malattia”, sono non più di 34mila i decessi annui per cancro imputabili a una dieta ricca di carne, contro un milione di vittime imputabili al tabacco e 600mila all’alcool.

Concretamente, quindi, qualora non si privilegino il pollame (2), il pesce, i legumi, le uova, i formaggi magri ed altre fonti di proteine, parrebbe bene consumare le carni rosse con moderazione, secondo alcuni non superando la porzione di 1-2 hg due volte la settimana, evitando quelle grasse, e – ove non se ne faccia a meno – consumare di rado e con estrema estrema estrema moderazione le carni processate, non superando ove possibile porzioni di 50 g. Si tratta beninteso di quantità indicative, là dove ogni regime alimentare va suggerito e supervisionato da un medico specialista (il fai-da-te può condurre sino al Creatore), e là dove ogni individuo è un organismo caratterizzato da unicità.

Chi adora la tartare di fassone e la fettina di lardo (magari al basilico genovese DOP (3)) non dovrà dunque a tutti i costi convertirsi al “vegan”, o (magari dopo una lettura del magnifico M. Harris Buono da mangiare) ripiegare su pupe di baco da seta o tarme della farina, sempre che siano anch’esse idoneamente “stoccate” e cotte. Più realisticamente, se tiene alla propria salute e forma fisica, dovrà assoggettarsi a quelle regolette che, io presumo, già conosceva, ovvero carne rossa senza davvero mai eccedere (come avveniva nei tempi di frugalità) e carne processata solo molto sporadicamente – ove non riesca a farne a meno – … E se ha dei dubbi, potrà via via chiarirglieli tutti un medico dietologo.

Si tratta né più né meno di ragionevolezza, est modus in rebus, proverbiavano gli antichi. Gli italiani per fortuna non sono dei divoratori di grigliate al barbecue, hot dogs e bacon fritto (i popoli che lo sono scontano un’incidenza di tumori al colon doppia rispetto a noi). Ecco perché, ove privi di corredi informativi a misura di consumatore, certi messaggi improvvisi sono allarmistici se non svianti (anni fa parve di colpo cancerogeno tout court anche il pesto, a causa del metileugenolo (4)), e possono indurre reazioni collettive le quali pongono a rischio anche allevamenti, prodotti, manodopera e tradizioni territoriali-economiche d’eccellenza. L’Italia, terra di splendidi salumi, appartiene ai Paesi più longevi al mondo. “L’Oms dice cose che in gran parte già sappiamo, e nessuno si sogna di vietare il consumo di carne: come per tutti gli alimenti, serve equilibrio”, afferma Carmine Pinto, Presidente AIOM, l’associazione italiana degli oncologi (traggo ad es. quest’affermazione da www.lastampa.it).

Aggiunge autorevolmente il nutrizionista Giorgio Calabrese, volto noto in tv e Presidente del Comitato nazionale per la sicurezza alimentare del Ministero della salute: “In molti Stati, come gli USA, è ammesso l’uso di ormoni nell’allevamento del bestiame e sono legali conservanti e additivi. In Europa tutto ciò è proibito, soprattutto in Italia, dove gli insaccati vengono fatti utilizzando soltanto sale e gli additivi minimi legali non sono pericolosi. Noi importiamo carne, ma viene tutta controllata: se contiene ormoni o conservanti la rimandiamo indietro” (traggo quest’affermazione dal settimanale F, n. 45, 11 nov. 2015).

Ditemi comunque, fraterni lettori, carnivori impenitenti o vegani convinti, che ne pensate.

A proposito di allevamenti, visto che il benessere degli animali è basilare non solo dal punto di vista etico e igienico, e constatata viceversa la frequenza con cui nelle stalle si maltrattano le povere “bestie”, colgo anche l’occasione di segnalare un recente saggio di Pisseri, De Benedictis, Venezia, il cui titolo già svela tutto, ConVivere, l’allevamento del futuro, uno dei tre veterinari che l’ha redatto scendeva in corriera ogni mattina a Genova dai “bricchi” di Montoggio, quasi quarant’anni fa, e sedeva accanto a me in un banco del ginnasio, perfetta antitesi del secchione… Erano bei tempi, chioserebbe qualcuno (ma già allora aveva fatto scandalo un’azienda italiana che, a fini di frode fiscale, “farciva” con letame e scarti le casse delle proprie mortadelle).
Umberto Curti, Ligucibario

(1) si noti che tale classe comprende ad es. anche la naftalina da armadi e farmaci come la ciclosporina

(2) pollame, pesce, uova…sperabilmente di qualità, perché altrimenti ritorna incombente proprio quella minaccia – il trash food – da cui si stava fuggendo

(3) una magnifica idea di un salumificio di Finale Ligure (SV)

(4) pare che se si consumasse pesto ad entrambi i pasti si sarebbe esposti ad una dose 150 volte più bassa di quella somministrata ai ratti. Quindi, “non vi sono effetti conosciuti che risultano dall’esposizione al metileugenolo nella dieta”. Si può allora continuare a gustare con piacere dell’ottimo pesto (in Liguria e altrove), e magari preparato al mortaio, non perché innocuo in quanto tale, ma perché, ragionevolmente, non più pericoloso di molti altri alimenti consumati ogni giorno…

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