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Polpo all’inferno

Il polpo (dal greco “molti piedi”) vive in scogliera, nutrendosi di granchi e poco altro. Si cattura con la lenza, l’amo o un uncino detto polpara. Va appeso e battuto mezz’ora. Per la ricetta “all’inferno” si può sostituire coi moscardini, da cui si distingue in quanto dotato di ventose in fila doppia. Va lavato in acqua marina, poi – come detto – sospeso ad un gancio e percosso almeno 30 minuti con una canna.

La ricetta, un tempo nella brace, prevede la stufatura (almeno 4 ore a fuoco tenue) in una pentola di terracotta, resa stagna con carta straccia intorno al coperchio, tipo pentola a pressione. Aglio, cipolla, pomodori, peperoncino, odori, sale e pepe in grani, infine le patate. Il polpo si cucina anche al verde, al Vermentino…

I pescatori di Laigueglia (SV) gli consacravano un zimino da crostoni, e il Dellepiane (1880) un brodo per minestre di mare. La leggenda che induce a bollirlo con un tappo di sughero è destituita di fondamento. David Herbert Lawrence (1885-1930), innamoratosi di Tellaro nei primi anni del ‘900, scrive che

La chiesa è sull’acqua. C’è una leggenda che narra come nottetempo la campana della chiesa suonasse lungamente, all’improvviso. La gente del luogo si destò spaventata, paventando un’invasione di pirati nel vecchio borgo marino. Ma, per fortuna, si scoprì ben presto che il responsabile del pandemonio era un grosso polpo burlone, che aveva afferrato la corda della campana rimanendosene comodamente adagiato sugli scogli sotto la chiesa…

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