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Frittelle di San Giuseppe

Frittelle di San Giuseppe (dolci), rito del 19 marzo, sono tipicissime ad esempio della Val Bormida, classicamente con uvetta (bagnata nel rhum) e zucchero a velo. Chiamate in dialetto “friscêu co-o zibibbo”, impiegavano in origine l’uva nera di Corinto, e solo successivamente quella sultanina (turca). Profumate grazie alla cannella, l’acqua frizzante dell’impasto le gonfierà golosamente. Ottimale per Ligucibario® un abbinamento con DOC Golfo del Tigullio Moscato. Per San Giuseppe si friggevano anche fiori d’acacia (con tutto il grappolo), pampalà (primule selvatiche), robinie e foglie fresche di limone, uso ormai perduto… Un’ultima nota: San Giuseppe è il patrono dei falegnami (viene sovente rappresentato con un bastone fiorito). Questi golosi dolcetti si legano ai falegnami, forse perché pare che San Giuseppe, per qualche tempo, dopo la fuga in Egitto, sia stato anche frittellaro. Tant’è che il 19 marzo, sino a fine ‘800, nel centro storico di Genova – e delegazioni – i falegnami sgombravano i banchi di lavoro da attrezzi e trucioli e offrivano frittelle a conoscenti e passanti, sovente proprio friscêu cö-ö zebìbbo, ma…una conteneva peraltro una scherzosa sorpresa, ovvero dell’ovatta e non dell’uvetta: tutti attendevano di verificare a chi sarebbe spettata, perché costui avrebbe dovuto scontar pegno, pagando da bere a tutti. Questa piccola leccornia (un successo in pressoché tutte le regioni d’Italia…) ha meritato anche i versi di una poesia in vernacolo di Filippo Angelo Castello (1867-1941).

Umberto Curti

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