Da ragazzino, quando mia madre mi consentiva di far visita a mia nonna da solo (in vico dei Garibaldi), i carruggi della casbah genovese mi disorientavano, temevo di perdermi. Un labirinto, un dedalo di colori, odori, voci, sino al portone verde, dotato di massiccio battente, che percuotevo due volte affinché una corda verticale, dal secondo piano, sganciasse una chiusura, consentendomi l’ingresso ad un ampio scalone di marmo…
Via via però divenni esploratore più coraggioso, e scoprii anche le atmosfere e le botteghe di vico Casana, di via Luccoli, dei Macelli di Soziglia, di via San Luca, di Canneto il Lungo, di via della Maddalena, respirando – nel bene assai più che nel male – la Genova autentica, scoprendo il Caffaro epperò anche De André, e incrociando gli sguardi di “signore” molto truccate, ma non volgari, e di contrabbandieri di Marlboro che, agli occhi di oggi, paiono quasi figure pittoresche, tutt’altro che minacciose. Ogni carruggio vantava tappe golose, la panna di cremeria, le trippe e le sciamadde, lo stoccafisso, le spezie…
Via della Maddalena anzitutto era, naturalmente, la rosticceria (che per fortuna esiste ancora), dove – se la memoria non m’inganna – mi colpivano i formaggi, la capricciosa, la savoiarda, tutti i leitmotiv golosi dell’epoca, inni alle salse.
Viceversa, la giovanissima età non mi induceva a prestare attenzione e purtroppo non mi permetteva di apprezzare adeguatamente le architetture, le edicole votive, le vecchie insegne commerciali, tutte le bellezze storico-culturali di un’area cittadina che, di fatto, costituì un antichissimo asse viario est-ovest fuori delle mura caroline, prima che le trasformazioni urbanistiche (XII secolo→) le conferissero via via un aspetto più riconoscibile e più simile all’attuale.
Via della Maddalena, che prende nome dalla sua chiesa (antico luogo di Dio ricostruito da fine ‘500), fu quartiere operoso, di sarti in primis, ma sempre “plebeo” rispetto alla soprastante Strada Nuova, che oggi è l’aurea via Garibaldi tanto percorsa dai turismi. Fu tuttavia anche “feudo” dei Boccanegra, famiglia il cui nome si lega a decisive vicende storiche locali (Simon Boccanegra infatti, di simpatie ghibelline, fu eletto primo Doge di Genova nel 1339). In loco il turista attento può scovare sul tema targhe marmoree che narrano fatti e biografie, ma beninteso anche tutto l’understatement turistico genovese, perché mai aprirsi tutt’in una volta quando ci si può rivelare lentamente?…
Della mia adolescenza, alla Maddalena oggi ritrovo – come detto – la frequentatissima rosticceria, il bucato steso ad asciugare, e sempre le prostitute, oggi più numerose, di diversa provenienza, ma accomunate da un iniquo destino. La via mi appare però più bella e più viva di qualche anno addietro, e ho la fortuna, con una “guida” come Luisa Puppo, di cogliere anche quei dettagli che altrimenti mi sfuggirebbero.
L’animazione commerciale rappresenta una delle più efficaci forme di presidio del territorio e un’oggettiva antitesi al degrado. Il viavai, la famigliarità fra residenti e commercianti, le saracinesche alzate scacciano, come noto, la criminalità.
Se càpiti alla Maddalena, amico lettore, che tu già la conosca o che tu la scopra invece per la prima volta, regàlati anche una sosta non frettolosa presso il Beershop al 50c rosso (è anche un notevole ortofrutta), dove Luca – uno di coloro che più si sono battuti e si battono per rivitalizzare la strada – ti accompagnerà in un viaggio dentro le birre artigianali da tutto il mondo assolutamente sbalorditivo. Un viaggio grazie al quale comprendere cos’è oggi la birra, quanto differisca dall’immagine del passato, e come (last not least!) i suoi aromi sovente privilegino i prodotti dei terroir, ovvero le filiere accorciate.
Se càpiti alla Maddalena, amico lettore, saluta Luca da parte mia, e…prosit!
Umberto Curti