Il 30 settembre ricorre dal 1953 la “Giornata mondiale della traduzione”, celebrazione anche di San Girolamo, monaco e teologo istriano (347-420), in quanto traduttore in latino della Bibbia completa. Una data importante per i professionisti e per quei semplici appassionati che si cimentano col trasferimento di un testo in un’altra lingua.
E una data importante anche per la nostra Luisa Puppo, anglista, che nel proprio percorso professionale ha ininterrottamente praticato, con sensibilità, e col massimo rispetto dell’interculturalità, questa difficile “arte”, non di rado anglicizzando parole e concetti della più profonda cultura e gastronomia genovese-ligure (ovvero “decifrando” per i pubblici d’oltre confine espressioni come maniman, brandacujun, gabibbo, refrescumme…).
Quante volte abbiamo proseguito la lettura di un autore straniero grazie anche all’abilità di colui che, fra cento difficoltà, ce lo rende fruibile nella nostra lingua “quotidiana”? Quante volte i traduttori di poesia si sono rivelati a propria volta poeti (il grande poeta genovese Eugenio Montale fu non a caso anche ottimo traduttore)? Quante volte tradurre significa oscillare tra l’attenzione al testo originale e qualche necessaria libertà che lo renda meglio interpretabile (già nel ‘600, forse con un accenno di misoginia, si istituiva un parallelo fra la traduzione e la donna: se era troppo bella, non poteva essere fedele…).
In definitiva, tradurre non è semplicemente trasmettere un significato, ma “restituire” qualcosa di ben oltre. Ma alludere ai traduttori significa anche alludere, last but not least, a quelle meritorie figure che, invisibilmente, ci spiegano come assumere un farmaco, come utilizzare un elettrodomestico, come montare una libreria, quando troviamo l’italiano fra le 30 lingue inserite in un foglietto d’istruzioni (in un giro del mondo) sempre più simile ad un lenzuolo…
Umberto Curti