12 mar 2021  | Pubblicato in Ligucibario

Sardenaire (e pissalandrea), torte ponentine

sardenaira

sardenaira

Sardine pan del mare

Sardenaira, bella parola che linka sardine, machetto, la frugalità ingegnosa dei popoli mediterranei ben prima che le Meriche donassero il pomodoro e altro! E’ una “torta” salata, lievitata e alquanto morbida, che a Sanremo ormai si fregia della de.co., il relativo disciplinare è visionabile anche online.

Gli ingredienti “del venerdì”

Non propone – lo sottolineo sùbito – alcun legame storico con la pizza napoletana.  Bensì, forse, con quella sterminata famiglia di pitte, schiacchiate, “piade”, pani carasau e simili, che sovente fungevano da piatto/mensa e dunque s’insaporivano di quel che le sovrastava e le “sgocciolava”. Nel caso della Liguria – regione costiera – poteva trattarsi di sardine (“pan del mare” al pari delle acciughe), aglio (lasciato in camicia), cipolle, olive (nere), odori (anzitutto origano…) e mai spezie “esotiche”, forse anche capperi e formaggi (ovini)… Ingredienti e condimenti anche – come si dice – di riciclo, e sempre sua maestà l’aglio a far da “nutraceutico”. Alle sardine poi successero pure le acciughe e putine (avannotti), un po’ meno amare, e meno pungenti nelle narici e sulla lingua. Oggi, per questo genere di torte, ogni massaia e tortaio ponentino segue la propria ricetta (erano un po’ il rito del venerdì), ma cucinarle bene risultava indispensabile alle ventimigliesi che desiderassero sposarsi, i mariti sarebbero stati critici implacabili… Come mia abitudine, esorto ancora una volta a scegliere panifici e fainotti che nei diversi impasti o condimenti usino olio extravergine, niente sanse, niente strutti, niente miglioratori chimici per velocizzare i processi lievitanti, niente fretta.

Tracce di storia

E la pissalandrea? Il 20 giugno del 1538 la vedova di Stefano Doria, dominus di Oneglia, accolse alcuni fra i potenti del tempo, Papa Paolo III, Carlo V d’Asburgo e Andrea Doria, i quali rientravano da Nizza, là dove Papa Paolo si era adoperato per indurre Carlo V e Francesco I ad una pax o quantomeno una cessazione delle ostilità. Presumo che Andrea Doria – visto l’agio in cui viveva e le frequentazioni cui era uso – fosse anche un buongustaio, possediamo un documento che in qualche modo svela i “bilanci” mensili di Maria, una sua cuoca guarda caso abilissima nelle torte (salate) e nelle focacce, quindi in ricette quanto mai locali. Ma pissalandrea non conduce all’Ammiraglio, conduce alla pissaladière provenzale  (Nice, Antibes…), a propria volta dal catalano peis salat, quel pesce conservato – sino a sfarsi in minutaglie – che per brutale sapidità ricordava e ricorda un po’ il celebre, “temuto” garum dei Romani (che tanto ho indagato in “Tempo mediterraneo. Quel che resta di Apicio”) o la colatura di alici di Cetara (SA), o le acciugate di Arezzo, o perfino la bagna cauda piemontese (quando le acciughe – come narra il compianto Nico Orengo – iniziarono a saltare verso la val Maira…). Il garum sovente viaggiava come merce sulle navi romane, tra cui quella che gli archeologi chiamano relitto di Diano Marina, in quanto affondata dinanzi a quelle coste (1).

Una geografia gastronomica borgo per borgo

Sardenaira e pissalandrea – come ho precisato anche altrove, clicca qui – costellano si può dire ogni borgo del Ponente ligure, la prima è più di casa a Sanremo, Taggia, Badalucco… Viceversa la pissalandrea “abita” ad Imperia ed è divenuta de.co. (clicca qui), Diano, Ventimiglia, Perinaldo, Bordighera e Vallecrosia, Camporosso, Pigna… A Ceriana infornano pan sciacau, a Dolceacqua pasta cu a pumata/cun a bagna, ad Apricale machetusa (fügassön), a Bussana machetaia/machetaera, a Triora crescenza, a Bajardo una torta col brüssö (quello che i pastori in alpeggio spalmavano su duri pani “d’ordiu”). Sia come sia e ovunque sia, si tratta in definitiva di una torta salata piacevolissima in tutte le occasioni, come appetizer, come piatto unico, come stuzzichino da aperitivi, come “matafame”, in agriturismo, in enoteca…

E nei calici?

Un DOC Riviera ligure di ponente Vermentino, servito a 11°C nei tulipani a stelo alto, è ovunque un felice abbinamento, ma può cedere il passo ad un DOC Pornassio Sciac-trà, ovvero il nostro dolcetto vinificato in cerasuolo, o finanche ad un tenue Ciliegiolo del Levante qualora il pomodoro – che da cotto risulta presenza assai percepibile – sia abbondante e un po’ invadente. Buon viaggio a Ponente!
(1). U. Curti, Il cibo in Liguria dalla preistoria all’età romana, ed. De Ferrari, Genova, 2011
Umberto Curti
(articolo di proprietà dell’autore, concesso originariamente ad altra piattaforma ed ora non più online)
umberto curtiLigucibario mindmap PNG

Commenta