Sardine pan del mare
Sardenaira, bella parola che linka sardine, machetto, la frugalità ingegnosa dei popoli mediterranei ben prima che le Meriche donassero il pomodoro e altro! E’ una “torta” salata, lievitata e alquanto morbida, che a Sanremo ormai si fregia della de.co., il relativo disciplinare è visionabile anche online.
Gli ingredienti “del venerdì”
Non propone – lo sottolineo sùbito – alcun legame storico con la pizza napoletana. Bensì, forse, con quella sterminata famiglia di pitte, schiacchiate, “piade”, pani carasau e simili, che sovente fungevano da piatto/mensa e dunque s’insaporivano di quel che le sovrastava e le “sgocciolava”. Nel caso della Liguria – regione costiera – poteva trattarsi di sardine (“pan del mare” al pari delle acciughe), aglio (lasciato in camicia), cipolle, olive (nere), odori (anzitutto origano…) e mai spezie “esotiche”, forse anche capperi e formaggi (ovini)… Ingredienti e condimenti anche – come si dice – di riciclo, e sempre sua maestà l’aglio a far da “nutraceutico”. Alle sardine poi successero pure le acciughe e putine (avannotti), un po’ meno amare, e meno pungenti nelle narici e sulla lingua. Oggi, per questo genere di torte, ogni massaia e tortaio ponentino segue la propria ricetta (erano un po’ il rito del venerdì), ma cucinarle bene risultava indispensabile alle ventimigliesi che desiderassero sposarsi, i mariti sarebbero stati critici implacabili… Come mia abitudine, esorto ancora una volta a scegliere panifici e fainotti che nei diversi impasti o condimenti usino olio extravergine, niente sanse, niente strutti, niente miglioratori chimici per velocizzare i processi lievitanti, niente fretta.
Tracce di storia
E la pissalandrea? Il 20 giugno del 1538 la vedova di Stefano Doria, dominus di Oneglia, accolse alcuni fra i potenti del tempo, Papa Paolo III, Carlo V d’Asburgo e Andrea Doria, i quali rientravano da Nizza, là dove Papa Paolo si era adoperato per indurre Carlo V e Francesco I ad una pax o quantomeno una cessazione delle ostilità. Presumo che Andrea Doria – visto l’agio in cui viveva e le frequentazioni cui era uso – fosse anche un buongustaio, possediamo un documento che in qualche modo svela i “bilanci” mensili di Maria, una sua cuoca guarda caso abilissima nelle torte (salate) e nelle focacce, quindi in ricette quanto mai locali. Ma pissalandrea non conduce all’Ammiraglio, conduce alla pissaladière provenzale (Nice, Antibes…), a propria volta dal catalano peis salat, quel pesce conservato – sino a sfarsi in minutaglie – che per brutale sapidità ricordava e ricorda un po’ il celebre, “temuto” garum dei Romani (che tanto ho indagato in “Tempo mediterraneo. Quel che resta di Apicio”) o la colatura di alici di Cetara (SA), o le acciugate di Arezzo, o perfino la bagna cauda piemontese (quando le acciughe – come narra il compianto Nico Orengo – iniziarono a saltare verso la val Maira…). Il garum sovente viaggiava come merce sulle navi romane, tra cui quella che gli archeologi chiamano relitto di Diano Marina, in quanto affondata dinanzi a quelle coste (1).
Una geografia gastronomica borgo per borgo
Sardenaira e pissalandrea – come ho precisato anche altrove, clicca qui – costellano si può dire ogni borgo del Ponente ligure, la prima è più di casa a Sanremo, Taggia, Badalucco… Viceversa la pissalandrea “abita” ad Imperia ed è divenuta de.co. (clicca qui), Diano, Ventimiglia, Perinaldo, Bordighera e Vallecrosia, Camporosso, Pigna… A Ceriana infornano pan sciacau, a Dolceacqua pasta cu a pumata/cun a bagna, ad Apricale machetusa (fügassön), a Bussana machetaia/machetaera, a Triora crescenza, a Bajardo una torta col brüssö (quello che i pastori in alpeggio spalmavano su duri pani “d’ordiu”). Sia come sia e ovunque sia, si tratta in definitiva di una torta salata piacevolissima in tutte le occasioni, come appetizer, come piatto unico, come stuzzichino da aperitivi, come “matafame”, in agriturismo, in enoteca…
E nei calici?
Un DOC Riviera ligure di ponente Vermentino, servito a 11°C nei tulipani a stelo alto, è ovunque un felice abbinamento, ma può cedere il passo ad un DOC Pornassio Sciac-trà, ovvero il nostro dolcetto vinificato in cerasuolo, o finanche ad un tenue Ciliegiolo del Levante qualora il pomodoro – che da cotto risulta presenza assai percepibile – sia abbondante e un po’ invadente. Buon viaggio a Ponente!
(1). U. Curti, Il cibo in Liguria dalla preistoria all’età romana, ed. De Ferrari, Genova, 2011
Umberto Curti
(articolo di proprietà dell’autore, concesso originariamente ad altra piattaforma ed ora non più online)