6 mar 2024  | Pubblicato in Ligucibario

Medioevo e feudalesimo. Genova 2024

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MEDIOEVO E FEUDALESIMO. Secoli bui o laboratorio politico e sociale? Di Umberto Curti

Genova dedica il 2024 al Medioevo, con una serie di iniziative vòlte ad approfondire una stagione storica lunga e peculiare.

Al Medioevo (ed all’età feudale) in passato sono state peraltro riservate innumerevoli definizioni ed attribuite infinite etichette, stiamo parlando – del resto – di un arco di storia ampio, “spartiacque”, prodromico a grandi scoperte geografiche e scientifiche, e fra i più complessi a decifrarsi. Rare le fonti affidabili, impossibile la disgiunzione fra gli accadimenti “italiani” e quelli lato sensu europei, perché – nel caos diacronico dei contesti locali e generali – tempo e confine sono mere parole, valgono solo come puro suono a fini distintivi.
In qualche modo, tuttavia, superate le invasioni barbariche che avevano distrutto la romanità, l’Europa fu a tratti più coesa e sovranazionale proprio nel momento in cui si palesarono totali sia la mancanza di comunicazioni e sia la difficoltà di percorsi politici e culturali condivisi.
Primo tratto saliente dell’alto Medioevo fu la decadenza delle città (civitates, da cui derivava il termine stesso civiltà), che non vennero necessariamente distrutte ma rappresentarono un fattore di relativa indifferenza negli sguardi di quanti – i vincitori – non praticavano che l’arte militare e l’allevamento nomade dei bestiami. Grandi abitati, a partire dai secoli IV e V, si ridussero dunque a quartieri non di rado fortificati, a recinti difensivi dentro i quali via via resistere ai Goti, ai Longobardi, ai Franchi, a tutti gli stranieri e alle orde di turno. Ne era a capo il vescovo, unico soggetto del passato rimasto ad occuparsi non solo d’anime, e ne era centro l’edificio adibito a cattedrale. Secoli dopo, non a caso, il vescovo incarnò il miglior alleato “politico” di tutte quelle città che presero a ribellarsi alla tirannia centrale dell’impero.
Si sviluppò pertanto una ruralità talora da fame, il contadino non cooperando più col mercante e non coltivando oltre il necessario al proprio sostentamento. Quando i raccolti degli anni di magra, le scarse piogge o la violenza delle intrusioni gli impedirono di proseguire, egli si rivolse al latifondista, al proprietario delle “villae”, che gli garantì – attraverso il “colonato” – lavoro e pane. E’ una relazione affine a quella che in tempi recenti s’è battezzata mezzadria, da un lato la pars dominica e padronale, dall’altro la pars massaricia, la fattoria con gli attrezzi di lavoro condotta dal balivo che a tutto provvede, e tale relazione dà vita ad una società ovviamente parcellizzata, diffidente, che s’autosostiene, chi ha più terra è – oggettivamente – più ricco, perché la terra rappresenta l’unica moneta di scambio immune dalle svalutazioni e comunemente accettata.
La villa risultò luogo di potere e di vita quotidiana, vi si amministrò la giustizia, vi si celebrarono riti religiosi, vi si progettarono investimenti… Ecco l’origine di tanti toponimi italiani, Francavilla, Villafranca, Villanova, Villabassa, Villabate, Villa Campanile, Villa Castelli, Villachiara, Villa del Bosco, Villa del Conte, Villa Estense, Villa Frati, Villagrande, Villa Guardia, Villa Lago, Villa Latina, Villa Magna, Villa Piana, Villa Poma, Villa Ricca, Villa Santa, Villaverde. Ecco forse, anche, una delle origini circa tanti municipalismi e – a detta di alcuni – circa lo spirito poco patriottico della nazione italiana, a suo modo anarchica e campanilista…
Gradualmente, l’accumulo di terra nella proprietà di pochi privilegiati produsse la nascita della nobiltà, inizialmente di tipo guerriero, all’insegna del valore e della lealtà. Duchi e marchesi che presero a nominare – come sottoposti diretti – i cosiddetti vassalli, cui assegnavano il godimento temporaneo di un feudo. Col tempo, il privilegio divenne sempre più ereditario e trasmissibile, perché solo i figli dei vassalli conoscevano le arti e gli usi idonei al mestiere e potevano così diventare cavalieri, membri di una milizia elitaria, formidabilmente al vertice della piramide sociale.
Il feudalesimo fu dunque un’organizzazione istituzionale – di matrice franca – che a partire dall’alto Medioevo si estese in Europa fino alla Sicilia, alla Grecia, alla Palestina. Caratterizzata da un feudo, e da un feudatario che vi esercita la giurisdizione, allude – cronologicamente – ad un’età squassata da grandiosi rivolgimenti, tanto che il feudalesimo appare a taluni studiosi un fatto storico ineludibile, un passaggio politico obbligato in quanto prevedibile, ad altri una fusione originale che compenetrò elementi di provenienza diversissima, cerniera fra mondi che scompaiono e mondi che li sostituiscono, fra aristocrazia via via declinante e avide modernità per loro natura impetuose.
E’ verosimile sia derivato, come istituto, dai patronati latifondistici del Basso Impero agonizzante, allorché armigeri disillusi e sbandati si aggregarono individualmente attorno ad un capo anziano e/o valoroso. Ma al termine del periodo merovingio emersero contrattualità militari più formalizzate, e la distribuzione di un vitalizio in terra a quei cavalieri che s’impegnassero a ricambiare tale concessione con la fedeltà e con le armi.
Via via, da privilegio di dignità personale il feudo si trasformò in un volàno per l’espansione franca, che con Carlo Magno raggiunse vittoriosa – come noto – terre e popoli lontani. Ecco la nascita del vassallatico (la parola giunge dal celtico), forma politico-gerarchica nella quale il feudo non consiste più solo in terra, ma svolge una precisa funzione amministrativa e militare.
Feudo è vocabolo di derivazione etimologica incerta, dal latino medievale feudum. Origini storico-linguistiche mai del tutto chiarite ci tramandano un bisillabo (fevum, anche feum) che appare nella Francia meridionale e a Lucca in un documento della metà del secolo IX. Beni, forse bestiame…, concessi da qualcuno a qualcun altro in cambiò di fedeltà e servigi militari.
Consta di un dato personale (commendatio) là dove un uomo libero (vassus) si sottomette ad un senior. Di un dato reale (beneficium) là dove implica la concessione gratuita e revocabile di terre per mantenere il vassus (e la sua famiglia). Di un’immunità da oneri pubblici (mùnera), là dove prevede l’esenzione da imposte.
La commendatio proviene da consuetudini romane e poi intensamente germaniche, non àltera le facoltà del vassus perché si tratta di un’obbligazione bilaterale, risolubile per inadempienza delle parti. Il beneficium è una concessione “precaria”, durando quanto il rapporto personale fra i due contraenti (ma tendendo a diventare ereditaria perché gli oneri militari del vassus cresceranno, ed esigeranno maggior ricompensa). L’immunità discende da usi del Basso Impero come privilegio di esenzione dalle imposte. Essa deflagra in età merovingia, sottraendo all’erario dei sovrani molti redditi (ad esempio ecclesiali) certamente enormi. Il vassus, successivamente, pretese d’esigere in prima persona ciò che non consentiva – grazie all’immunità – che il fisco esigesse da lui. Con l’introitus arrogandosi il diritto di entrare nelle diverse proprietà, con l’exactio di riscuotere quanto aveva calcolato gli spettasse, con la districtio di emanare disposizioni in materia.
E’ il tempo nel quale la Francia carolingia si batté contro gli Arabi, che s’impadronirono minacciosamente della Spagna. Carlo Martello si vide costretto ad aumentare vertiginosamente il numero dei vassallatici in virtù delle loro prestazioni militari, e di conseguenza largheggiò sia concedendo terre sia espropriando la Chiesa. I privilegi del vassus divennero mere prerogative personali, ormai inscindibili dal titolare, contaminando il diritto pubblico con quello privato.
Il vassus a sua volta si legò per contratto al valvassore, il vassallo del vassallo (quando il valvassore prese il nome di conte, il vassallo si chiamò duca o marchese). Il valvassore, infine, ebbe nel valvassino il proprio sottoposto, al livello più basico della scala di potere.
Il sigillo a tali contratti si confermò la fedeltà, il senso di appartenenza. Come detto, ciò direttamente o indirettamente rafforzò un’economia tutta agraria e curtense, “clausa” (chiusa), immune. Nella realtà dei fatti, malgrado l’azione di sorveglianza “centrale” svolta dai missi dominici, una società composta da microcosmi è fragile, s’inchina puntualmente alla voce del più forte. Non a caso i vassalli pretesero progressivamente l’ereditarietà dei benefici, e i sovrani poco a poco cedettero, di modo che – come già avvenuto sotto i Longobardi – il feudo si mescolò agli altri patrimoni “personali” perdendo la sua funzione pubblica, e la politica si sottomise alle istanze particolaristiche dei signori a cavallo (meno invadente fu la condotta del cosiddetto maggiorascato – d’origine spagnola – in Francia, coi suoi celebri cadetti capaci di tutelare la civiltà occidentale fino al secolo XVIII e talora oltre).
Il vassallatico divenne una sorta di – autorevole – parlamento “ombra”, in grado, non raramente, di condizionare i governi centrali e di pilotare i destini di nazioni e territori. D’altronde, dal feudo dovettero però iniziare i versamenti di tributi, mentre via via la sua potenza militare si affievolì a causa degli eserciti professionali e poi delle coscrizioni di leva nazionali obbligatorie, che resero le guerre un fenomeno di massa, praticato con equipaggiamenti ed armi sempre più “industriali”.
La rivoluzione francese, in qualche modo filiazione dell’Illuminismo, spazzò infine via gli ultimi residui di quel feudalesimo che s’annidò a lungo anche nell’età dei titoli nobiliari.
Durante il Medioevo la situazione generale vedeva dunque in atto le vicissitudini narrate nelle righe precedenti; parallelamente, in Liguria, e più precisamente a Genova, la scena era dominata da grandi casati nobiliari, originando dal Medioevo e giungendo fino alla Repubblica aristocratica e oligarchica (1528-1797). Si trattava di una nobiltà civica, mercantile e insieme guerriera, che affermò il predominio di Genova su tutto il territorio ligure, e che conquistò il Mediterraneo anche attraverso il commercio (e infine la finanza). Ma a prevalere, all’interno dello stesso ceto dirigente genovese, furono inizialmente quattro grandi casate, Doria e Spinola, a capo di fazioni “ghibelline” e poi strettamente filospagnole, e Fieschi e Grimaldi, a capo dei “guelfi” e filofrancesi. Poco tempo dopo, a queste si affiancarono altre famiglie popolari (Adorno, Fregoso, Guarco e Montaldo) che talora fecero terra bruciata in città e nei domini fra il Tre e Quattrocento. Con la riforma costituzionale del 1528 iniziò una nuova fase in cui il patriziato sovrano della Repubblica di Genova si impose pienamente sulla scena del business europeo. In questo ambito emersero nuove famiglie, i De Ferrari duchi di Galliera ed i Pallavicino. Il sangue blu restò in famiglia attraverso matrimoni incrociati, dettati da motivi politici e di potere che portarono ad un legame indissolubile tra i vari casati. Nel 1547, con l’assedio al castello di Montoggio (GE), i Doria ebbero definitivamente la meglio sui Fieschi e le loro congiure. Discorso a parte meriterebbero i Malaspina (famiglia marchionale), che nonostante il predominio di Genova seppero mantenere importanti possedimenti feudali nell’estremo levante ligure (dove passò anche Dante), e in alcune valli interne del Tigullio orientale e del Genovesato. Tale mix “vincente”, fra coraggiosa intraprendenza e splendore nobiliare, è il segreto alla base di quei fasti del passato per cui Genova va famosa, e di quegli edifici aristocratici che stanno richiamando sempre più turisti…

Suggerimenti bibliografici

Bloch, La società feudale, Torino, 1999

Braudel, Mediterraneo, Milano, 2002

C.M. Brunetti, Castelli liguri, Genova, 1967 (2^ ed.)

Cardini e M. Montesano, Storia medievale, Firenze, 2006

Duby, Lo specchio del feudalesimo, Bari, 1998

Ganshof, Cos’è il feudalesimo?, Torino, 2003

Huizinga, L’autunno del medioevo, Roma, 1997

Keen, La cavalleria, Napoli, 1986

Le Goff, L’uomo medievale, Bari, 1999

Lewis, I musulmani alla scoperta dell’Europa, Milano, 1983

Minola e B. Ronco, Castelli e fortezze di Liguria, Genova, 2006

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Poleggi (a cura di), Città portuali del Mediterraneo: storia e archeologia, Atti del Convegno Internazionale di Genova, Genova, 1989

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