Made in Italy enogastronomico. Formarsi sui prodotti
Salvaguardare le tradizioni enogastronomiche, i prodotti e le tavole italiane all’estero. E’ stato l’oggetto dell’iniziativa legislativa “Ristorazione Italiana all’Estero. Riconoscimento e Disciplina Legislativa” presentata l’11 novembre presso il Senato dal senatore di Forza Italia eletto in Europa, Raffaele Fantetti, politico che non conoscevo ma cui va tutto il mio plauso.
Fra i relatori, Giovanni Cocco dell’Istituto Nazionale Ricerche Turistiche, Aldo Cursano della Federazione Italiana Pubblici Esercizi, Marco Cavedagni dell’Associazione Nazionale Costruttori Macchine ed Attrezzature per Gelato, e – last not least! – un ristoratore italiano celebre a Londra, Roberto Costa, genovese che porta la Superba nel mondo(1).
E’ suo, fra quelli che ho letto, l’intervento che più mi sta a cuore, secondo il quale la formazione sui prodotti costituisce il solo antidoto alle contraffazioni e al famigerato “Italian sounding”. Aggiunge Roberto che “Copiare e imitare sono due cose diverse: copiare ricette può essere un bene, imitare no, perché non si entra nel merito. Siamo una cucina di prodotti, e i prodotti vanno tutelati attraverso la formazione”.
E qui, come Ligucibario®, debbo dunque porre un quadruplice ordine di problemi, o – se si preferisce – di riflessioni, che impattano direttamente sull’Italia:
1)il consumatore (italiano e straniero) stesso – qualora non sia un addetto ai lavori e dintorni, o un attento gourmet, o un incallito foodtrotter – è disorientato da una jungla di sigle (DOP, DOCG, DOC, IGP, IGT, PAT, STG, De.Co…) che non agevolano la comprensione né la scelta d’acquisto, e talora finisce col porre sullo stesso piano “denominazioni e marchi” di ben diverso livello
2)la difficile congiuntura economica da anni costringe molte imprese ad una competizione basata quasi esclusivamente sul fattore prezzo e sul “taglio” di ogni costo (ad ogni costo). Pertanto, fare qualità a partire dalla materia prima (privilegiando i prodotti DOP, biologici, a filiera breve e tracciata…) è talora assai difficile
3)l’Italia è un Paese che potrebbe far meglio sistema anche in senso formativo. Premesso che il miglior training sarebbe quello che integra, all’interno di network specifici, diversi attori (scuola, formazione professionale, enti bilaterali, organismi camerali “in house”, imprese, consorzi…), le imprese (specie le microimprese “famigliari”) tendono a trascurare le molte opportunità d’aula e d’aggiornamento anche gratuite, e – nell’insieme – di solito si formano poco sia sui prodotti che sulle evoluzioni di scenario in atto. Sono purtroppo le stesse imprese che parlano così così le lingue dei clienti, non sfruttano a fondo la web/social promotion, stentano a “narrarsi” compiutamente e, perciò, ad esplicitare la propria eccellenza differenziante. Verosimilmente, faticano nell’autolettura dei propri fabbisogni, ed in ciò andrebbero al più presto assistite (a titolo d’esempio, si consideri – drammaticamente – che negli ultimi 10 anni oltre 165mila artigiani italiani, da dato CGIA Mestre, hanno chiuso i battenti). I demagoghi misoneisti che rivorrebbero le ruralità del baratto e del kmO predicano fuffa
4)a parer mio, infine, andrebbe sovente “ripensata” e riaggiornata anche la figura del cameriere, perché la front line è quel luogo dove si gioca gran parte dell’immagine di un sistema turistico e di un “made in…”. Tanta Italia – quasi tutta? – ambisce a turismi non massificati e, viceversa, fortemente esperienziali (viste le sue ricchezze paesaggistico-culturali ne ha, come si dice, facoltà). In tal senso, mi piace dunque auspicare un cameriere che sempre più assurga a ruoli caratterizzanti e non “subalterni”, identificandosi con un lavoro (chiarimenti sulle ricette, sagace matching cibi-vini, conoscenza del territorio, linguaggio interculturale…) tra i più delicati ma anche tra i più premianti. Un lavoro, why not?, da scegliere col cuore e da fare vita natural durante, con un occhio di riguardo alle tradizioni e a tutto ciò che rende l’Italia un’eccellenza del gusto.
Come sempre, sarei lieto che da ciò nascesse un “dibattito”, così da conoscere le opinioni dei navigatori di Ligucibario®, opinioni di cui terrò certamente conto…
Umberto Curti
(1) Roberto Costa figura come case history nel mio recente “Libro bianco del turismo esperienziale e food&crafts. Prospettive (in Liguria) per territori, cultura, imprese” (editore Sabatelli)