La diffusione della vite in California è verosimilmente tutta merito di un ligure, nato ad Acero, una frazioncina quasi montana di Borzonasca (GE). Andrea Sbarboro vi nacque nel 1839, figlio di Stefano, che possedeva un mulino con terreni agricoli (la madre di Andrea era forse astigiana). Costui, come tanti allora, nel 1842 emigrò con la numerosissima famiglia a New York.
Andrea Sbarboro, da Borzonasca alla California
Nel 1850 Andrea si trasferì tuttavia in California, dove lavorò per alcuni anni in una drogheria (San Francisco) e dove cercò l’oro col fratello Bartolomeo, intraprendendo in seguito altri viaggi e attività industriali. Tanto che in breve tempo seppe fondare – come il più noto Amedeo Giannini, famiglia originaria di Favale di Malvaro – una banca dove affluirono i guadagni di molti emigrati italiani. Ed ebbe (da ligure avvezzo alle ripide fasce coi muretti a secco) la lungimiranza di immaginare coltivato a vite il fertile suolo della California, area dal clima in gran parte mediterraneo, la quale offriva immensi spazi al “marketing”, circa 1620 acri (1 acro = 4mila mq).
In tal senso, presso Tenuta Truett l’intraprendente Sbarboro creò dal 1881 una colonia italo-svizzera, denominata Asti, sul Russian river (contea di Sonoma), un fiume che sfocia nel Pacifico. Proprio là dove lo scrittore Jack London (1876-1916) compilò incantate descrizioni nel suo romanzo “La valle della luna” (1913). Infatti London conduceva un ranch presso Glen Ellen (tuttora la proprietà è gestita a livello federale per la coltivazione dell’uva), e scriveva: “L’aria è come il vino. Ciuffi di nebbia marina si posano sulle montagne di Sonoma. Il sole del pomeriggio brilla nel cielo assonnato. Ho tutto per essere felice”. Poco distante sorge anche Sacramento, fondata pochi decenni prima (1839) a partire dall’insediamento New Helvetia di John Sutter.
La colonia vitivinicola Asti (contea di Sonoma)
La colonia vitivinicola Asti, un’utopia cooperativistica destinata però a concrete strategie di successo, s’avvalse delle barbatelle spedite da un medico (Giuseppe Ollino) di Rocca d’Arazzo (AT) e delle competenze tutte italiche di Pietro Carlo Rossi, enologo di Dogliani (CN) laureatosi in Farmacia a Torino. Il lavoro di adattamento dei poderi fu enorme, e davvero trasformò la zona in un angolo d’Italia. Sin dall’inizio la Asti si strutturò come comunità autonoma, coi suoi 150 lavoratori retribuiti tra i 30 e i 40 dollari mensili secondo mansioni, oltre al vitto, l’alloggio e il vino.
Nel 1896 ricevette in visita Luigi di Savoia, giovane cugino del re d’Italia, con dieci ufficiali del suo seguito. Pochi anni dopo vi giunse anche una rappresentanza di 46 esperti in agricoltura inviati dal governo tedesco espressamente per analizzare i vigneti e le cantine dove il vino prendeva vita. Nel 1903 la comunità vantava già una scuola per i figli delle varie maestranze, un ufficio di posta, una connessione telefonica e telegrafica, giardini, impianti elettrici… La Asti crebbe, insomma, come “company town”, con una stazione ferroviaria sulla Northwestern Pacific e una chiesa cattolica, la Our Lady of Mount Carmel, eretta nel 1907 – nella classica forma a botte – col legno delle botti usate.
In pratica, il luogo via via diventò sempre più celebre ed assai visitato, con cantine quasi a perdita d’occhio. Gli italiani – e i ticinesi – che sapevano di agricoltura vi trovarono sempre buon impiego, sebbene poi nel 1919 il proibizionismo sconquassasse molte abitudini dei consumatori e quindi molte economie (fu abolito solo 14 anni dopo).
Infine, non possiamo omettere il ruolo sostanziale che la colonia esercitò durante la sciagura della filossera in Europa, col malefico afide che distrusse o mise a rischio – via via anche in Liguria – la quasi totalità dei vitigni. E proprio grazie agli sforzi “intercontinentali” di esperti (fra cui il professor Planchoin di Montpellier) venne saggiato, con immenso sollievo, l’innesto su radice americana, radice che risulta immune alla più parte delle patologie. Ancora oggi le barbatelle prodotte s’innestano su tale radice.
Circa queste straordinarie vicende si veda anche Pietro Pinna, “La valle del vino”, ed. Viella, 2023.
Umberto Curti