Circa la Tavola Bronzea del 117 a. C. (cm 47,5×37,5), su cui molto si è scritto, si consideri che in confronto ad altre regioni la Liguria non propone un gran numero di iscrizioni romane, tuttavia le epigrafi superstiti sono di qualità importante, in quanto consentono di monitorare la romanizzazione – che non dimentichiamolo fu preceduta da prolungate relazioni commerciali e da accordi con alcune popolazioni – , il coevo persistere di culti indigeni, le aggregazioni tribali, insomma la condizione di vincitori e vinti, quest’ultimi soggetti a misure sia coattive sia assimilative imposte dai vincitori… La Tavola, ritrovata dal contadino Agostino Pedemonte nel rio Pernecco nel 1506, è la prima testimone del latino in Liguria, una lingua – nella quotidianità reale – condotta fra gli indigeni, come ben puntualizza in relazione ad esiti linguistici Fiorenzo Toso, soprattutto dai coloni, da militari, funzionari e commercianti, dunque “popolare” e “volgare”… Ritrovata casualmente, e restaurata pulendola da nerofumo e grassi nel 1978, essa – oltre a riportare la prima menzione circa la via Postumia – cita una sentenza d’arbitrato emessa a Roma per regolare una disputa territoriale fra Genuates e Viturii Langenses e sfociata nell’obbligo di un pagamento in vino locale, 1/6 da quanto vendemmiato, ovvero un vectigal – entrata erariale – sotto forma di baratto. Svela la lingua parlata a Genova all’epoca (la latinizzazione sta concretamente entrando nell’onomastica) ed uno ius ancora autoctono rispetto alla successiva romanità della villa, dal quale si evince, come in un mappale preistorico inciso sulle sacre rupi di Monte Bego?, una suddivisione delle terre in ager publicus, ager privatus e compascuus (terreno da pascolo, fienagione e legnatico, policentrico, su crinali spartiacque, che svolse non di rado funzioni sociali e cultuali), ed è evidente come dalla proprietà pubblica siano via via socioeconomicamente derivate, molti secoli più tardi, le comunaglie, terreni con bosco e pascolo messi a disposizione di famiglie o individui dietro versamento annuo di un modico canone. Erano punteggiate di casoni in pietra a secco (caselle, casette, bàreghi, supenne, cabanei…) per il ricovero soprattutto degli attrezzi, costruzioni di cui ancora rinveniamo esempi, già meticolosamente indagati dagli etnologi, fra cui il compianto Pietro Scotti. Caselle punteggiano ad esempio anche monte Bignone, sopra Sanremo-IM.
Quanto al toponimo Polcevera, deriverebbe per alcuni da “porco-bera”, fiume che porta i salmoni/le trote/le zolle, o addirittura acqua che da monte porta la verità, per altri ma tardamente e inopportunamente da “purci-fera”, ossia (valle) popolata di maiali. Che fosse in contatto col porto di Genova lo proverebbe ad esempio l’anfora punica da pesce rinvenuta in località Monte Carlo (Cao), un pagus dell’alta valle a 551 m sul livello del mare. Circa poi la via Postumia, che dal 148 a. C. collegò Genova al Po/Aquileia (181 a. C.) e lungo la quale si sviluppò Libarna, oggi nel Comune di Serravalle Scrivia-AL, la prima menzione, come detto, sta appunto nella Tavola Bronzea. Itinerarium Antonimi e Tabula Peutingeriana indicano tra Genova e Libarna una distanza di 36 miglia (circa 50 km), riesce oggi difficile seguirne lo sviluppo, la zona si presenta accidentata e ha subìto molte trasformazioni, e la Postumia a tratti fu verosimilmente poco più che uno stretto sentiero, priva di ponti, con pendenze molto variabili per economizzare su tornanti ed altro, tra paesaggi giocoforza mutevoli. Fatta realizzare dal console Spurio Postumio Albino, essa riproponeva nel tratto a monte una pista già battuta da mercanti liguri e forse anche la medesima percorsa sia dal console Quinto Minucio Rufo, allorché nel 197 a. C. schiacciò i Liguri dell’Oltregiogo fino a Casteggio-PV, sia dal console Quinto Opimio nel 154 a. C., allorché guidò truppe da Piacenza (importante intersezione con la Aemilia Lepidi) a Genova per raggiungere Nizza. I tempi erano quanto mai inquieti. Oggi se ne ragiona solo in via ipotetica ma la Postumia, “strada di arroccamento” per congiungere le colonie cisalpine create al fine di contrastare le locali tribù ribelli, indiscutibilmente accelerò il processo di romanizzazione dei territori interni toccati dal suo tracciato, ovvero apportò tecnologie e tipi di produzioni romane, usi romani e riti romani. Il proposito ampio di unire il Tirreno all’Adriatico veicolò inoltre progetti di nuovi centri e “risistemazioni”, anche per facilitare i movimenti delle truppe e delle navi. La Postumia riacquistò poi importanza allorché Genova e Milano nel III-IV secolo d. C. ebbero profondamente bisogno l’una dell’altra relativamente alla compravendita d’olio (dall’Italia meridionale e dall’Africa settentrionale) e di granaglie. In tal senso, alla vigilia e poi all’inizio dell’apocalisse barbarica – che obliterò molte vite e villae – , aree ospitali dell’Appennino, quali ad es. San Cipriano presso Serra Riccò-GE, non a caso si ripopolarono, e le fasce terrazzate consentirono alcune delle coltivazioni ormai usuali in Liguria. Attraverso la Postumia, all’inizio del V secolo, fu ricondotta al magister militum Stilicone la figlia Termanzia, moglie ripudiata dall’imperatore Onorio. E del resto moltissime mulattiere diventarono durante il medioevo le vere vie di riferimento…
Umberto Curti
Tavola bronzea
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