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Plinio il Vecchio

Plinio il Vecchio fu un enciclopedista (23-79), un uomo dagli insaziabili interessi, gli dobbiamo i 37 libri della Naturalis historia, compendio dello scibile umano, sorta di “Treccani” della romanità. Ma morì appena 56enne, soffocato a Stabia, come leggiamo negli scritti del nipote Plinio il Giovane, durante la tragica eruzione del Vesuvio che seppellì Pompei ed Ercolano (comandando la flotta di Capo Miseno stava forse anche cercando di recare aiuto a cittadini in fuga).
Qualche anno fa alcuni accademici della cucina hanno ipotizzato che il formaggio “grana padano” sia nato a Luni, ricca colonia romana fra Liguria ed Etruria, città quindi che non era il semplice porto d’imbarco di un formaggio che vi scendeva dall’Appennino emiliano… I fautori della tesi aggiunsero che infatti presso l’antica Luni * , attorno al I secolo, era apprezzato un formaggio stagionato importante, con quella forma tonda e marchiato, il quale rivaleggiava col Coebanus caseus (di Ceva? di pecora?), ma che poi misteriosamente “sparì” per riapparire in pianura padana circa un millennio dopo (le prime testimonianze del grana si registrano a Lodi, grazie all’opera di monaci che, attenuatasi la tempesta barbarica, recuperano le agricolture affiancando come sempre il lavoro alla preghiera…). Il formaggio di Luni presenzia infatti sia scritti di Plinio il Vecchio che del salace poeta Marziale (38?-104?), il quale nel XIII libro dei suoi celebri epigrammi accenna a forme tanto grandi (in partenza per Roma) da poter nutrire mille giovinetti… Quelle forme erano marchiate (timbro a fuoco?) con l’immagine della Luna etrusca, una sorta di DOP per brandizzarle: “Caseus etruscae signatus imagine lunae praestabit pueris prandia mille tuis”, ovvero: ‘Il formaggio marchiato con la luna etrusca fornirà mille merende ai tuoi giovani’, sottintendendo apprendisti di bottega, aiutanti (pertanto il formaggio era con ogni probabilità il lunch durante le pause dal lavoro). Se quelle forme fossero state padane, perché mai contrassegnarle così? Verosimilmente quelle forme furono in seguito sostituite da formaggette (anche ovocaprine), per produzioni più famigliari e consumi più amicali, e in loco si perse quindi un uso produttivo che viceversa via via s’affermò, come detto, in pianura padana. Ma rimangono tanti punti interrogativi.
* su Luni puoi ancora utilmente leggere il mio “Il cibo in Liguria dalla preistoria all’età romana”, ed. De Ferrari, Genova
Umberto Curti

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