| Alfabeto del Gusto

Sciacchetrà

Sciacchetrà, un nome che ai cultori del vino non suona neutro. Parlo del passito della DOC Cinque Terre, presidio Slow Food, che non va confuso con lo Sciac-trà ponentino, che è Pornassio (cioè dolcetto) rosato. La parola potrebbe derivare, oltre all’ipotesi dialettale consueta dello “schiaccia e trai”, più suggestivamente dall’ebraico shekhar = vino puro, che inebria, vino da solennità (contrapposto a Iaiin, vino allungato)… Fermenta a lungo il proprio mosto zuccherino (una quarantina di giorni) dentro barilotti chiamati caratelli. Ha colori che si dorano e s’ambrano, odori che via via regalano albicocca, mela, pesca, sapori ben mielati, non stucchevoli, ricchi di calore, persistenti, morbidi.

Lo Sciacchetrà si mesce dal primo novembre dell’anno che segue la vendemmia, e dopo tre anni la tipologia “Riserva”. Esistono peraltro eccellenti casi di bottiglie financo trentennali. Lo gusti al meglio delle sue possibilità in piccoli “tulipani”, 7-9 gradi la temperatura di servizio, abbinando dolci non lievitati, pandolci bassi e panforti (conservane una fetta per il 3 febbraio, San Biagio protettore della gola), spongate “lunigiane” – natalizie – , e cubaite “arabeggianti” del Ponente… Oppure, superfluo dirlo, come vino da meditazione
Umberto Curti
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