3 set 2019  | Pubblicato in Ligucibario

Gita a Sassello

DSCN1377Lungo la strada 334 percorsa anche dalle autocorriere di linea, a metà viaggio fra la Riviera di ponente albisolese e il Piemonte già “strong” di Acqui Terme (con ricettari e Brachetto DOCG d’eccezione), Sassello – nel 1999 prima bandiera arancione d’Italia – vanta un contesto paesaggistico estremamente ampio, che in Liguria quasi non t’aspetti, foreste corsi d’acqua zone prative pascoli vette escursionistiche, un mix di risorse etno-ambientali che il Geoparco Unesco del Beigua contribuisce a tutelare e promuovere. Trekking, biking, ippoturismo, esperienzialità, Sassello – a 400 m sul livello del mare – è perfetta per una fruizione outdoor in piena libertà, tra i “valichi” del Faiallo e del Giovo. Il mulino antico, che tuttora grazie alle acque del torrente Sbruggia molisce – beninteso a pietra – cereali antichi locali, e i 2 birrifici artigianali (l’Altavia con orzo e luppolo propri, ed Elissor (1)) restituiscono al turista gourmet e all’ospite una prima dimensione dell’ambiente geostorico e culturale che caratterizza tutto il territorio. Io, anche per lavoro, lo frequento con assiduità, di solito (malgrado la presenza di validissimi agriturismi) pernottando all’ottimo hotel-ristorante “Pian del sole“, accolto dalla Signora Carla, che a cena – nella spaziosa sala vetrata o nel déhors che domina l’abitato – mi affida al maitre-sommelier Alberto, cui si deve una carta dei vini intrigante, e al garbo efficiente di uno staff di camerieri assai professionali, fra cui l’amico Salvatore, che – bontà sua – ha iniziato a leggere i miei libri sulla vinificazione.
La località ha uno charme realmente patrizio, grazie ai numerosi edifici e dimore che con eleganza punteggiano il centro storico e la quieta via Zunini. Un fornitissimo IAT sorge proprio all’imbocco del paese, presso palazzo Gervino, dirimpetto – last not least! – al bar-gelateria “Gina”, dove Giuliano propone gusti ora classici ora creativi, e alcune creme (fra cui quella al canestrello) che creano dipendenza. Lungo le vie e i carruggi, poi, alcuni riusciti pannelli invitano ad esplorare Sassello coi sensi (“Feel Sassello”), a passeggiarne i dintorni, a scoprire chiese (San Giovanni!), ad individuarne le diverse anime e suggestioni. Imperdibile, in tal senso, l’annuale infiorata del Corpus Domini, che ricopre di petali – e colori – tutta la pavimentazione cittadina.
Ma i gastronauti e i foodtrotters v’incontrano i pregiati funghi di castagno e rovere (in stagione la raccolta impone il tesserino!), le carni, i formaggi, il miele, i frutti di bosco, la mitica testa in cassetta del salumificio Giacobbe (gentilissima colei che l’affetta per i miei picnic sù a Palazzo Bellavista, dentro la foresta della Deiva), e – come dimenticarsene? – i celeberrimi amaretti, piccoli tondi dolci – morbidi e con una nota amarognola – a base di pasta di mandorle dolci, zucchero, albume e armelline (sono i semi nel nocciolo di albicocca e pesca). Io li abbino a passiti a bacca bianca, ma rievocano i riti del rosolio e del thé, pasticceria secca, pastafrolle, savarin da credenza… Oggi scatole policrome e tuttavia dall’aspetto un po’ vintage ne fanno un cadeau – per gli altri ma anche per sé… – sempre gradito, perché gli amaretti raccontano Sassello e la passione di un made in Italy ancora fieramente artigianale. Se ne officia puntualmente il rito in occasione della “festa dell’amaretto”, che quest’anno cadrà domenica 15 settembre; ma i visitatori più curiosi potranno anche approfondirne le origini grazie ad una sezione dedicata internamente (verificare sempre giorni e orari di apertura) al Museo Perrando, in via dei Perrando 33, struttura che conserva anche reperti archeologici, dipinti e ceramiche.
Io, da parte mia, ringrazio Emanuela Chellini che mi ha fatto dono dei diversi amaretti prodotti da “La Sassellese“, che ho trovato fragranti e bilanciati, e che ho persino sgretolato – come al solito inseguendo contrasti – su un carpaccio di ricciola con agrumi…
Se la lettura vi ha suscitato appetito, a Sassello e dintorni non vi mancheranno le occasioni. A me piace l’attivissimo Palazzo Sàlsole in piazza Concezione 1, dove patròn Michele propone una cucina tradizionale (verdure ripiene, minestrone con scucuzùn, brandade di stoccafisso, coniglio…) con alcuni tocchi reinterpretativi e con alcuni doverosi omaggi al vicino Piemonte (bagna cauda, bunèt…). Il locale, raccolto e romantico e con alcuni tavoli all’aperto, si sviluppa su più piani, e s’affaccia sul cuore del paese e sul municipio. Rassicurante anche la proposta enologica, con etichette liguri (dalla Lumassina di Sancio al Dolceacqua DOC di Foresti), piemontesi, ed alcune incursioni nazionali sagaci, sempre proposte con ragionevoli ricarichi. Ma mi piace anche l’ex pizzeria “I monelli”, in frazione Palo, che – quando ritorno dall’Alta Via di Prariondo o dalla dolce e boscosa salita al monte Avzé – con la nuova gestione mi lusinga con ravioli di borragine conditi con burro fuso, salvia e pinoli tostati, tartare di fassona, finanche fritto di pescato con verdure…
Infine, gli amanti della pizza potranno sedere – ma suggerisco sempre la prenotazione – sia al centralissimo “Pizza e fichi” di via Roma 3, che sforna cornicione alto e soffice alla napoletana, sia (a 2 minuti d’auto dal downtown) al “San Giovanni” lungo l’omonima salita, che peraltro non è solo pizzeria e propone – a puro titolo d’esempio – anche notevoli carni alla brace.
Amici lettori, state caricando le valigie in auto per un weekend via dalla pazza folla?
Umberto Curti
(1) Luisa Puppo, vera esperta di birre, potrebbe dettagliarvi la filosofia e lo stile brassicolo dell’uno e dell’altro, ma nel suo teku scende tendenzialmente la “Winja n 25” di Elissor e nel mio la “Monte Rama” di Altavia. De gustibus…è un motto che vale anche a livello coniugale

umberto curti

umberto curti

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