Sono stato invitato il 23 agosto scorso da Silvia Bottaro, autrice del recente volume Vite di Farfa, ad intervenire a Serra di Pamparato (CN) per un incontro pubblico dedicato alla figura di questo eclettico e fantasioso artista (il ricco volume, infatti, contiene anche un mio saggio).
La location è stata un piccolo, commovente Museo etnografico sugli usi e costumi della gente di montagna.
Ai racconti di Silvia Bottaro, che a Savona conobbe Farfa anche personalmente, dal vivo, racconti dunque costellati anche di gustosi aneddoti (fra le altre cose, Farfa talora scendeva in strada in pigiama…), ho affiancato sinteticamente i miei, sottolineando come Farfa fu e in qualche modo restò futurista sino all’ultimo, interiormente condividendo il miglior lascito di questa avanguardia, ovvero – di fatto – l’osservazione attiva e creativa d’ogni àmbito del vivere e dell’esprimersi umano (compresa la cucina).
Enrico Crispolti, Claudia Salaris ed altri critici avveduti hanno lasciato pagine mirabili su quella temperie culturale così viva in cui Marinetti e i suoi sodali poterono progressivamente diffondere il proprio credo. Un credo, per taluni aspetti, tuttora vivo e affascinante. Ed io stesso, nel settembre 2021 (vedi la locandina), organizzai una futurcena sul litorale di Albissola Marina (grazie a Tullio Mazzotti uno dei luoghi più iconici della ceramica futurista) che – emblematicamente – riscosse un vasto successo di pubblico, quasi oltre ogni mia previsione…
Nel ricettario di Marinetti (e Fillia), edito da Sonzogno nel 1932 in 6mila copie, Farfa (che aveva tempo prima conosciuto Fillia a Torino) inserì 7 ricette quanto mai originali, sebbene non proprio “quotidiane”, fra cui l’apprezzabile fragolamammella, ovvero una cupola di ricotta lavorata col Campari e sovrastata da un capezzolo di fragola candita (fu non a caso anche il dessert della mia futurcena albissolese). Il ricettario, che seguiva il Manifesto della cucina futurista dell’anno precedente (1931), e che veniva arricchito da un lessico dei neologismi curato dal celebre critico Alfredo Panzini, meritò più d’un’attenzione (talvolta anche feroce), tanto che cene di gala si svolsero anche a Genova e Chiavari (dove Farfa declamò le proprie “tuberie”), ma purtroppo la dottrina gastronomica di Marinetti – ahimé – esecrava senza appello la pastasciutta, rea d’imbolsire quegli italiani che, “ritti sulla cima del mondo”, avrebbero dovuto una volta ancora scagliar la loro sfida alle stelle. A malapena scamparono alle invettive i ravioli (carnali lettere d’amore in busta color crema…) e, last not least per un Genovese come me, il pesto, che fu ribattezzato salsa smeraldo.
Si consideri, inoltre, che nel marzo 1931 aveva aperto i battenti, in via Vanchiglia 2 a Torino, quella magnifica e magica Taverna del santopalato che, fra alterne fortune, propose menu ed eventi futuristi sino al 1940, quando dovette chiudere i battenti. Il locale, progettato da Fillia e Diulgheroff e inaugurato dall’infaticabile Marinetti, appariva come l’interno d’un sommergibile, dotato persino…di asciugamani in latta!
Era il tempio di piatti arditi quali il carneplastico (Fillia), una polpetta di vitello e verdure coperta di miele e “avvolta” alla base da un anello di salsiccia, e quali il pollofiat, un indigeribile pollo ruspante farcito di zabaglione con accompagnamento di confetti argentei, che avrebbero dovuto rappresentare il gusto metallico dei cuscinetti a sfera delle auto… I drink erano nel frattempo divenuti “polibibite“, i tramezzini “traidue“, i puré “poltiglie“, gli amari e gli ammazzacaffé “peralzarsi“…
Cosa rimane oggi di tutto questo? E di 172 ricette, malgré tout e malgrado qualche intuizione sagace, quasi sempre incucinabili? Come ovvio, trattandosi di futurismo, rimane la provocazione, l’iconoclastia, ma anche la capacità autentica di praticare le sinestesie, le polisensorialità… Marinetti, del resto, nel suo ultimo e stanco poema di reduce (1944) precisava di non aver nulla da insegnare (in concreto), mondo com’era di ogni quotidianismo, e faro di un’aeropoesia fuori tempo e spazio, ergo svincolata da ogni contingenza e incombenza… Buon appetito futurista, amici Lettori (ma andateci assai cauti)!
Post scriptum: dopo la conferenza, durante la quale ho appreso che Silvia Bottaro è entrata in possesso di ulteriori lettere e documenti “farfiani”, ho cenato con Luisa all’albergo “Alpi” di Pamparato, intuendo subito che si sarebbe trattato di una sosta coerente con Ligucibario®: atmosfera suggestiva sulla piazzetta-crocevia, tavoli ben distanziati, menu stra-piemunteis (secondo gusti il tonné, la russa, la giardiniera, i tajarin, le trippe, la torta di nocciole…), e onesti ricarichi anche sul vino, nei nostri calici si è trattato di un piacevole “trifulòt” di Teo Costa. Il sorriso premuroso di Dada, la proprietaria, ha completato la bellissima esperienza. Il mio è pertanto un arrivederci a presto