Buongiorno a tutti! Con l’arrivo del freddo e delle festività natalizie la città, spazzata dalla tramontana, si scalda coi profumi e i colori che “escono” da forni e pasticcerie, dove iniziano i preparativi per tutte le prelibatezze dolci e salate tipiche del periodo.
Il vostro farinologo vi manda i migliori auguri ed è lieto di approfondire con voi una delle preparazioni più classiche e interessanti della tradizione natalizia genovese, il pandolce.
Si tratta di un pane speciale, festoso, arricchito vivacemente con zucchero, burro, uova, frutta candita, pinoli e aromi, per celebrare appunto il Natale, ma non solo; veniva e viene infatti preparato anche per il primo dell’anno e per l’Epifania.
Gironzolando con l’intento di acquistarne uno ci si imbatte in 2 versioni differenti, entrambe tradizionali ma una sola è antica.
Si tratta proprio di quello alto, lievitato, differente da quello basso sia nel dosaggio degli ingredienti sia nella preparazione, la quale richiede tempi molto più lunghi dato l’utilizzo del crescente o pasta madre. *
Riguardo al crescente, premetto subito che utilizzarlo al meglio non è cosa semplice, né tantomeno farselo da sé; bisogna appunto imparare ad accudirlo (proprio come una creatura viva!) nutrendolo con continui rinfreschi e sorvegliando la fermentazione ed il grado di acidità, il quale non deve mai essere eccessivo (nuocerebbe al palato e all’attività del lievito).
Tuttavia approfondiremo questa tematica in un post successivo, quindi – se non siete già abili/pratici/ferrati/rodati sperimentatori – limitatevi per il momento a chiederne un pezzo a qualcuno.
Una volta ottenuto il crescente potrete utilizzarlo serbandone sempre una parte, che “custodirete” per tutte le preparazioni future.
Nel caso ne abbiate meno del necessario lo farete crescere rinfrescandolo, ovvero, una volta che ha maturato, aggiungendo una quantità di farina pari ai 2/3 del suo peso e la metà di acqua, re-impastando.
Es: abbiamo 150g di lievito e ce ne servono 600g. Aggiungiamo 100g di farina “00” forte e 50g di acqua tiepida. Otteniamo 300g di lievito e una volta maturato (dopo tot. ore a seconda di temperature e umidità) ripetiamo l’operazione, quindi aggiungiamo 200g di farina “00” e 100g di acqua.
Una volta maturato nuovamente è pronto all’uso!
Notate bene che, una volta rinfrescato, crescerà (lo dice la parola!), per questo io vi raccomando di porlo dentro un contenitore alto e stretto così da seguirne bene la crescita.
Possiamo farlo maturare in frigorifero lentamente a 4° rinfrescandolo ogni 3 giorni circa, oppure fuori frigo a temperatura ambiente (sui 27°) dove lo rinfrescheremo dopo 6 o 7 ore circa.
Ove maturi in frigorifero ricordiamoci di tirarlo fuori almeno due ore prima della preparazione, affinché non rallenti la lievitazione.
Iniziamo!
Anzitutto abbiamo bisogno di una farina di forza in grado di affrontare i lunghi tempi di lievitazione caratteristici del crescente. Dovete sapere che più una farina è forte e più è in grado di sviluppare glutine, ovvero un reticolato (o maglia) glutinico elastico e tenace, che trattiene l’anidride carbonica prodotta dalla fermentazione e regge la spinta dell’acqua, facendo così lievitare l’impasto.
Tutto ciò avviene quando le proteine insolubili (gliadina e gluteina) contenute nelle farine vengono a contatto con l’acqua, e grazie all’attrito generato dall’impasto; quindi per riconoscere indicativamente la forza di una farina (dato che le confezioni in commercio non riportano il W) guardate la quantità di proteine sulla tabella nutrizionale. Es: farina forte dai 12g fino ai 18g circa su 100g di prodotto.
Tuttavia il modo pratico per non sbagliarsi è unire in % farina manitoba ad una normale “00”.
Per quanto riguarda il resto degli ingredienti ovviamente sottolineo il fatto che a maggiore qualità corrisponde maggiore resa finale.
Ingredienti (per 5 pandolci da 800g l’uno):
– 1250g farina tot. (70% manitoba e 30% “00”)
– 375g di crescente
– 375 g acqua
– 250 g burro
– 50 g olio extravergine
– 250 g zucchero
– 75 g miele
– 600 g di uvetta candita
– 325g di arancia candita
– 200 g cedro candito
– 80 g pinoli
– 20g sale
– 1 uovo
– 13g finocchietto selvatico
– acqua ai fiori d’arancio
– si può, volendo, aggiungere zucca candita o pistacchi, regolandosi però con il resto della frutta candita.
Come prima fase creiamo il pre-impasto:
700 g di farina
175 g d’acqua
200 g di crescente
1 uovo
200g di burro sciolto a bagnomaria
200g di zucchero
Impastare bene fin quando non risulterà una pasta morbida ma piuttosto soda, e fare maturare 8 ore circa in luogo tiepido, senza passaggi d’aria, eventualmente coprendo con un telo e una coperta di lana, o in un ampio contenitore di plastica coperto.
Trascorsa questa fase avrà raddoppiato di volume e andremo a re-impastare col resto degli ingredienti, ovvero:
550g farina
160g circa di acqua
50g di olio extravergine
50g burro
50g di zucchero e 75g di miele
20g di sale
finocchietto selvatico ed acqua ai fiori d’arancia q.b.
Quando sarà bene amalgamato aggiungere, inglobandola all’interno, la frutta candita ed anche i pinoli, il tutto pre-riscaldato leggermente in forno di modo da agevolare la lievitazione.
Ad impasto finito far riposare una mezz’ora e stenderlo su un banco, dove riposerà un’altra mezz’ora, per poi procedere con la pezzatura e tornitura formando 5 pani tondi che faremo lievitare 8/9 ore in ambiente riscaldato (33° circa).
Per finire facciamo sulla sommità il classico taglio a triangolo (non troppo profondo) e inforniamo in forno di casa preriscaldato a 180° per almeno 45 minuti.
Se avete la fortuna di cuocere nel forno a legna munitevi di un termometro da forno e a temperatura ideale (180°) togliete tutta la brace dal forno, pulite il piano, infornate e socchiudete la bocca del forno aggiungendo un panno bagnato.
Grazie e uno speciale augurio di buone feste!
Luca Traverso, il farinologo
* Per quanto riguarda la versione bassa è bene sapere che veniva anche definita pandolce “svelto”, proprio perché utilizzando il cosiddetto baking non ci sono tempi di lievitazione. Questo “lievito” chimico, oggigiorno largamente utilizzato in pasticceria, fu scoperto nella seconda metà dell’800 e adottato verso i primi del ‘900; prima di esso veniva utilizzato il bicarbonato di sodio oppure il cremortartaro (se ne impiega la medesima quantità del lievito di birra).