Se una sana alimentazione contribuisce alla salute e al benessere, di converso mangiando male talvolta ci ammaliamo, o via via ci predisponiamo alle future patologie, si pensi al boom delle cosiddette intolleranze.
Io non so dire quanto, in passato, le buone condizioni di vita degli animali importassero al contadino/all’allevatore, ma presumo gli importassero: è pur vero che le società e le economie erano complessivamente assai più rurali del presente, sovente il contado nutrendo le città, e animali vigorosi potevano prima contribuire al lavoro umano e alla ricchezza di chi li possedeva, e poi alla tavola su cui finissero dopo la macellazione.
Racconti che ho ascoltato con riverente attenzione, ad esempio in Calizzano, ad un passo dall’Alta Via dei Monti Liguri, rivelano come campagne e boschi fossero habitat in cui l’essere umano sovente istituiva una sorta di “simbiosi” con gli animali, sia domesticati che selvatici, ed ogni parte rispettava i propri spazi poiché la convivenza, nel complesso, risultava assai migliore dell’antagonismo… Ciò non significa che l’igiene venisse sempre al primo posto, che alcuni animali non venissero castrati o mutilati (la coda dei suini), ma suppongo che non vigesse la crudele indifferenza oggi tipica degli allevamenti industriali.
Talora, ben poco è restato di quel mondo, e i cambiamenti climatici stanno qui e là infliggendo il colpo di grazia a luoghi e comunità marginalizzate da una globalizzazione senza senno. Per me che leggo (anzi mi abbevero a) Paolo Cognetti, Annibale Salsa, Paolo Rumiz…, la sopravvivenza di Alpi e Appennini è imperativo di cui tutti dovremmo occuparci subito e con determinazione.
Detto questo, e tornando alle prime righe del post, io mi occupo di territorio ed enogastronomia, qualche giorno fa è uscito il mio nuovo lavoro, Abbecedario della cucina ligure, e debbo dire che tanto mi tengo alla larga da materie prime di provenienza “sospetta” e da OGM quanto continuamente esorto i miei Lettori verso filiere più brevi, pulite, “bio”, dentro le quali siano tracciabili anche le modalità in cui gli animali vengono cresciuti, fatti riposare, curati se necessario, trasportati, e (storditi e) abbattuti… Si veda in tal senso anche la strategia europea cosiddetta “farm to fork”. Stress e condizioni di (inutile) sofferenza possono – come ormai arcinoto – originare negli animali (bovini, equini, ovini, suini, pollame…) una maggior predisposizione alle malattie trasmissibili, il che rappresenta un rischio per i consumatori, ad es. tramite le comuni tossinfezioni alimentari causate da salmonella, campylobacter ed escherichia coli.
Il benessere degli animali va dunque perseguito con una visione davvero più olistica, che tenga conto della loro salute ma anche degli aspetti psicologici e relazionali che caratterizzano la loro esistenza (il celebre Brambell report del 1965 già elencava e in qualche modo certificava le 5 “libertà” irrinunciabili: 1.dalla sete, dalla fame e dalla cattiva nutrizione 2.di avere un ambiente fisico adeguato 3.dal dolore, dalle ferite, dalle malattie 4.di manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche normali 5.dalla paura e dal disagio).
Immagino perciò, e ne sono lieto, che torneremo sull’argomento, tanto più che persino le piante sono esseri viventi e intelligenti, caratterizzate da memoria e “socialità”, esseri che comunicano tra loro e con gli animali. A presto
Umberto Curti
30 nov 2021 | Pubblicato in Ligucibario
Il benessere degli animali
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