Il 14 marzo si celebra la Giornata nazionale del paesaggio. Mai come oggi, evidentemente, e al di là di tante affermazioni generiche o retoriche, queste “ricorrenze” assumono un significato decisivo.
Gianni Celati (1937-2022) fu un prolifico scrittore, traduttore, critico, mi piacque in particolare lo straordinario racconto d’osservazione Verso la foce (ed. Feltrinelli, 1989), lungo gli argini e verso il delta del Po, il grande – e simbolico – fiume d’Italia. Un insieme “progettuale” e fotografico di diari di viaggio, ma anche un – dolente – pellegrinaggio d’amore al capezzale d’un paesaggio (la valle Padana) che andava morendo, fra scarichi industriali, centrali nucleari, vegetazioni malate, stalle, fetori, insegne commerciali (che avrebbero inorridito lo scrittore e umorista emiliano Giovanni Guareschi), bar dalla clientela sonnolenta e fatalista, cascine dismesse, e a tratti un’edilizia caotica di villette che senza logica interrompeva il senso d’abbandono solo per replicare il deserto urbano, solo per costruire il paradosso ossimorico della periferia delle campagne. Italia come Paese senza memoria, dove quell’inquinamento materiale diventava ormai esistenziale, in uno scorrere di cave, roulottes in rovina, nani di gesso, tralicci, bunker, fabbriche fallite, ma anche – per fortuna – di improvvise e miracolose epifanie, alcune piazze (piazza XXIII aprile a Pomponesco), alcune nobili facciate (la reggia ducale di Colorno), fugaci sollievi…
Spero dunque che soprattutto nelle scuole (ai miei tempi si leggeva Esiodo) si trovi tempo e modo per indurre gli allievi alla riflessione. Il Mediterraneo, e quello stivale che ne occupa cospicua parte, e quella Liguria che vi si affaccia…, sono luoghi in cui le urgenze della sostenibilità e della biodiversità (1) debbono catalogarsi al primo posto. Le frane e i disastri di questi giorni, dovuti alla pioggia, sono dal Finale alle Cinque Terre l’ennesimo grido di una terra dove il dissesto idrogeologico e la cementificazione sovente hanno marciato di pari passo, e dove la green economy stenta ad affermarsi… Rileggiamo Braudel: «Che cosa è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre, insomma, un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia: bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere». Un susseguirsi fragilissimo.
Ma rileggiamo anche quel Rapporto sul Turismo Sostenibile, redatto dal Gruppo di Lavoro costituito durante la Presidenza Italiana (2012–14) della Convenzione delle Alpi, che ulteriormente sottolineava, anche per la montagna: «L’agricoltura di montagna, assumendo i propri ruoli polifunzionali (dalla produzione di qualità legata agli antichi saperi, al mantenimento del “paesaggio agrario culturale”, al monitoraggio del territorio e dell’ambiente, al rafforzamento della biodiversità, alla socializzazione della natura) riafferma l’interdipendenza fra ecologia ed economia nell’ambito della quale prende vita il “turismo alpino culturale”» (Convenzione delle Alpi, p. 48).
Nel quindicennio 1965-1980 Italia Nostra fu presieduta dallo scrittore bolognese Giorgio Bassani (1916-2000), che attivamente già denunciò la costruzione di tratti autostradali irrispettosi del valore paesaggistico che traversavano, o sollecitò la creazione di parchi per salvaguardare aree naturali d’interesse nazionale. L’affarismo cementifero non s’arrestava dinanzi ad alcunché, le città si estendevano caoticamente, il degrado ambientale s’accompagnava all’imporsi di una corsa alla crescita senza più limiti né regole. Echeggiano via via – e più che forti, direi – parole di Pier Paolo Pasolini (contro quel consumismo che stravolgeva paesaggi, culture, ceti sociali, bisogni e desideri…), di Massimo Quaini (che allertava su una possibile “disneyzzazione” delle Cinque Terre liguri, ovvero paesaggi e comunità a rischio fra speculazioni edilizie, consumi di suolo, e turismi di massa), di Rigoni Stern (che tutta la vita, da Asiago, “militò” per la montagna), di Salvatore Settis (che tuttora nei suoi scritti si mobilita per l’interesse generale, che antepone il diritto alle leggi, e che si indigna di fronte alla “vendibilità” di ogni bene)… Ma anche di Mario Soldati, che viaggiando proprio la Liguria, e le viti di un dolcetto “montano”, scrisse in Vino al vino: “Pornassio, il più spettacoloso e originale paesaggio viticolo che abbia mai visto in vita mia. Immaginate un vastissimo arazzo, spesso e folto, arricciato e frastagliato, tutto sulle tinte fondamentali di un rosso acceso e violentissimo, con infinite sfumature che vanno dal marrone al violetto, dal cremisi allo scarlatto, dal fragola al rosa al giallo, con spruzzi di verde. Ma l’arazzo, oltre che denso di colori, appare fermamente costruito, secondo disegni visibilissimi, organici, funzionali: circoli, volute, serpentine parallele, che hanno lo scopo di sfruttare al massimo le concavità e le convessità, gli avvallamenti e i pronunciamenti del terreno, in rapporto all’arco che percorre il sole dall’alba al tramonto. Ne risulta una scenografia fantastica, liberamente geometrica, ma anche massiccia, di una strana violenza pittorica. Se si pensa alle vaste e blande circonvoluzioni sui colli veneti, toscani e piemontesi, la conca di Pornassio suggerisce qualcosa di più vigoroso e più vivo, qualcosa di ultimo e di eroico. L’amore degli uomini per la vigna, in tutto il mondo, non può fare di più”.
Il 14 marzo si celebra la Giornata nazionale del paesaggio…
(1) chi vuole leggermi più a fondo, può richiedere gratuitamente all’editore il mio recente Sostenibilità e biodiversità. Un glossario (con ricchissima bibliografia e videografia), a questo link
Umberto Curti