Il 15 ottobre ricorre la Giornata internazionale delle donne rurali.
Mi piace sottolineare che “quelle” donne hanno rivestito ruoli primari anche nella storia sociale ed economica della Liguria, senza mai sottrarsi al sacrificio.
La Liguria è da sempre – come si suole dire – crocevia di popoli, sia “autoctoni” che nomadi. A proposito dei primi Liguri, Marco Porcio Catone detto il Censore scrive che neppur essi sapevano con certezza donde provenissero (e, tuttora, origini e migrazioni di quel tempo sono un intrigante enigma che non cessa di coinvolgere archeologi e storici). Sappiamo che le tribù liguri vivevano isolate, financo le une dalle altre, come entità claniche indipendenti rette da un capo, il quale officiava anche i riti religiosi. Lo storico Giustino aggiunge che la proprietà privata non vigeva, e nei nuclei familiari s’affermava una tendenza al matriarcato, anche se i figli venivano riconosciuti dai padri. Le donne si presentavano forti e muscolose, dai fisici magri e asciutti, resistenti all’impegno come gli uomini.
Gli autori antichi restituiscono peraltro più di un testo sulla valentìa e caparbietà della donna ligure: Aristotele (pseudo); Posidonio; Diodoro Siculo; Eliano…
A causa del continuo stress fisico e della scarsezza di cibo i Liguri si confermavano vigorosi, nelle fatiche trovando sempre le donne come aiuto, abituate a lavorare proprio al pari degli uomini…
La nota leggenda circa la fondazione di Massalia (Marsiglia) racconta come i primi coloni Focesi, giunti da Efeso, incontrando il sovrano dei Segobrigi, Nannu (o Nanno), vennero invitati – in un idioma indecifrabile – ad un banchetto dove, a loro insaputa, la figlia di Nannu, la giovane Gyptis, avrebbe scelto lo sposo cui unirsi: Gyptis scelse il greco Protis, e Nannu concesse ai greci un luogo per la fondazione di Massalia. Si allude qui palesemente ad una società matriarcale, poiché Gyptis sceglie da sé il futuro consorte, mentre nelle società patriarcali ciò competeva categoricamente ai genitori, o in mancanza ai fratelli.
In un areale della Liguria di Ponente (Val Nervia), inoltre, si conserva – grazie anzitutto alla preziosa memoria degli anziani del luogo – un culto antico e ad intensa connotazione. Mai Mona, la Grande Madre, compare come toponimo “pagano” riferito a vette ed acque, e riti la riguardano (a fini di guarigione, benessere e fertilità) che si sono protratti sorprendentemente fino a non troppi decenni fa. Riti di un’umanità che – ieri ben più di oggi – si sentiva parte di un tutto, ed acqua che s’ergeva a simbolo di quel liquido amniotico il quale ci protegge nell’utero. Molti toponimi locali rivelano un’insistenza quasi assillante verso il culto matriarcale, gli esempi a ponente come a levante sono decine. Proprio in luoghi intitolati a Mai Mona il Cristianesimo – con sagace sincretismo – edificò poi cappelle dedicate alla Madonna e a Santa Lucia.
Quanto alle magnifiche statue-stele antropomorfe lunigianesi, infine, malgrado l’apparenza – e alcune conclusioni di studiosi superficiali – la maggior parte se non tutte sono verosimilmente femminili, epurate di alcune parti per toglier loro ogni traccia di delicatezza. La visita al castello del Piagnaro di Pontremoli, che molte ne raccoglie, è un’esperienza quasi mistica. Scrisse Romolo Formentini, per molti anni direttore del Museo Civico della Spezia, che «In principio era la donna, e la donna era l’oggetto del desiderio, e l’oggetto del desiderio era una statua stele. Le statue-stele della Lunigiana erano in origine tutte femminili, furono anzi scolpite per “consolare”, per sedurre il morto in modo che non tornasse nel mondo dei vivi”.
Occorre aggiungere altro?
Umberto Curti