29 apr 2014  | Pubblicato in Ligucibario

Le tour au Maroc. Marrakech, quando la “cucina di strada” diventa Patrimonio Unesco

Piazza Jama-El-Fnaa tutte le sere è un immenso ristorante di strada con centinaia di bancarelle che cuociono e offrono il loro cibo a turisti e residenti.

Ero molto incuriosito dal viaggio in Marocco. Per anni sono stato un viaggiatore europeista, non tanto per la convinzione che gli europei affronteranno meglio i problemi e il futuro solo facendo davvero l’Europa (e non semplicemente un’unione monetaria serva dei summit dei vecchi governi nazionali), quanto per la mia “ignoranza”.
La formazione scolastica e libraria, per tanti della mia generazione, fu fortemente eurocentrica, la Storia appariva storia soprattutto d’Europa, ben poco si apprendeva di altri continenti, se non per il fatto che, ad un certo punto, qualche europeo li aveva scoperti… La conoscenza dell’arte fu eurocentrica, così come il pensiero filosofico e, in tal senso ancor peggio, la letteratura, spesso confinata negli angusti confini nazionali.
Affrontare un viaggio fuori Europa significa anche confessare un po’ la propria ignoranza, l’impreparazione di fronte a culture e storie diverse. A ciò si aggiungano gli inevitabili quanto inconfessati pregiudizi, la pigrizia e, nel mio caso, il terrore del caldo, che soffro particolarmente.
Il problema è che l’Europa ha un limite, costiero o altro, e prima o poi finisce. Ho visitato accuratamente tutti i Paesi europei dalla Norvegia alla Sicilia, dal Portogallo agli Urali, con la sola eccezione dell’Albania. In alcuni sono tornato decine di volte, con la presunzione di conoscere ormai quei Paesi quasi meglio della grandissima maggioranza dei loro abitanti.
Ma il mondo poi è cambiato. L’Europa non ne è più il centro. Gli scambi, le contaminazioni culturali, la globalizzazione dei commerci, la facilità delle comunicazioni low cost spingono a uscire dai confini usuali…

Con l’aiuto e lo stimolo di mia figlia, studentessa universitaria di lingue, e poliglotta, la quale, dopo sette anni di viaggi senza di noi dallo scorso anno ha ripreso a “frequentare” le nostre vacanze (beninteso: dopo aver fatto le proprie!), abbiamo deciso di andare in Marocco, più precisamente a Marrakech. La sua conoscenza di più lingue ci è stata veramente utile, anche se i capelli biondi, gli occhi chiari e i lineamenti nordici hanno finito per attirare un eccesso di attenzioni non proprio gradite.
Marrakech non è la capitale del Marocco, ma la città che gli da il nome. Si trova ai piedi della catena dell’Atlante, e sullo sfondo si vedono ancora le montagne innevate, che fanno da netto contrasto col clima già caldo e con la lussureggiante vegetazione, immense fioriture di bouganvilles policrome, e palme, e aiuole sgargianti di fiori, e piante tropicali.
L’attrazione principale di Marrakech non è un monumento. Non che manchino, anzi ce ne sono d’interessantissimi, e sarebbe un vero peccato non visitarli. Tuttavia l’attrazione della città è piazza Jama-El-Fnaa. Immensa, nel cuore della Medina (la città vecchia all’interno della cinta muraria antica). La piazza, dichiarata dall’Unesco un bene dell’umanità, di giorno è solo parzialmente occupata da colorati carrozzoni che propongono spremute di agrumi fresche. Un’esperienza da non mancare. Sono buonissime, ma abbiate l’accortezza di pretendere il bicchiere di plastica usa e getta. Nel resto della piazza si trovano poi saltimbanchi, incantatori di serpenti, suonatori con le scimmiette danzanti. All’imbrunire, in poche decine di minuti, sorge dal nulla una cittadella di ristoranti con cibo di strada. Organizzatissimi, costituiscono veri viali con tanto di posti a sedere, ben illuminati, colorati, sempre affollati di marocchini e turisti, tra il fumo delle griglie e i vapori delle pentole. Sfilate di coccio per la cottura del Tajine, allineamenti di teste di agnello, spiedini che scoppiettano sulle griglie, tra le incessanti grida di richiamo dei cuochi e il ritmico suono dei tamburi. Odori di carni, di spezie ed erbe aromatiche, di bolliti, e sempre i colori delle verdure che accompagnano i piatti.
Confesso che non ho mangiato in piazza Jama-El-Fnaa, però una passeggiata tra le bancarelle del più grande mercato di street-food del mondo non si può mancare. Cogliere i suoni, le voci, gli aromi, le luci, cercare di scattare qualche foto, evitando, al contempo, i pressanti inviti degli imbonitori che vogliono trascinarti ai tavoli. Non so come ma, in mezzo a quella confusione indescrivibile, chi vi avvicina non sbaglia mai. Se siete italiani, parla in italiano, e di solito ha un motivo particolare per convincervi che la sua offerta di cibo è meglio di quelle degli altri.
In compenso ho avuto modo di assaggiare la cucina marocchina in alcuni locali consigliati da amici. Il primo è “Le Fondouk”, nella Medina, dove la zona dei fondouk ospita antichi laboratori artigiani. Il locale è in palese contrasto col circondario, che non è dei migliori di Marrakech. Si entra in un’antica casa signorile, perfettamente ristrutturata nel rispetto dello stile locale, ma con alcuni leggiadri tocchi di modernità. Illuminazione discreta e candele che danno un tocco d’intima eleganza, odore di profumi d’ambiente, servizio efficiente e discreto, in stile molto occidentale. Consiglio il menù alla carta. Il ristorante offre peraltro una doppia scelta. Una serie di piatti più rigorosamente rispettosi della tradizione e un menù con un ancoraggio al tipico, ma decisamente influenzato dalla cucina francese. Ottima la carta dei vini, con alcuni localismi veramente eccellenti. Abbiamo scelto i piatti della tradizione, con un piccolo strappo sui dolci del finale. A noi è piaciuto molto, tanto che abbiamo deciso nei giorni seguenti di tornare. Anche la seconda visita, in genere la più critica, è stata molto positiva. Da segnalare l’eccellente rapporto qualità–prezzo. In un locale garbato e fine ci aspettavamo un prezzo sicuramente più alto, e invece abbiamo pagato come in un’ordinaria trattoria italiana di campagna.
Altra piacevole sorpresa è stato “Les Terraces des Epices” nella casbah, in una strada a cui non possono accedere i taxi. Poco male, il taxista ha trovato subito un giovinetto che ci ha accompagnato gentilissimo per pochi spiccioli di mancia. Anche qui ambiente elegante sulla terrazza. Abbiamo mangiato molto bene. Purtroppo in questo locale non servono vino o bevande alcoliche. Ci hanno detto in segno di rispetto per la vicinanza di una moschea. Il conto, anche in questo caso, ci ha sorpreso positivamente in rapporto alla tipologia del locale e alla cena consumata.
La cucina marocchina ha alcuni piatti fondamentali, il più noto dei quali è la Tajine, nome allo stesso tempo della pentola in cui sono cotti i cibi e delle preparazioni che ne derivano. Si tratta di una pentola di terracotta, di norma appoggiata su un braciere di carbonella, sormontata da un coperchio conico. Ci sono Tajine di manzo, vitello, agnello, montone, pollo, pesce, o anche di sole verdure. Le carni sono generalmente accoppiate con verdure, ma anche con frutta. Abbiamo ad esempio mangiato un’eccellente Tajine di pollo al limone con limoni “confit” sotto sale, oppure un ottimo agnello con fichi e prugne. L’uso di erbe aromatiche ed essenze conferisce un sapore esaltante al gusto, e i piatti sono molto profumati, basta una semplice cipolla caramellata e voilà. Dentro la Tajine quindi ci sono carne, verdure e generalmente riso o cous-cous.
Il cous-cous, comune a tutta l’area maghrebina, è l’altro piatto famoso anche da noi, sono micro palline di semola, cotte a vapore ed abbinate con carni, pesce o verdure.
L’altra grande specialità sono gli spiedini, di tutte le carni, tranne ovviamente il maiale, si trovano misti o di un singolo tipo di carne, le salsicce che sono nello spiedino non sono ovviamente di maiale, si tratta delle “Merguez”, generalmente fatte di capra.
La pasticceria marocchina è prevalentemente una pasticceria secca, con grande apporto di frutta secca e miele. Nei ristoranti, ma anche nelle pasticcerie della Ville Nouvelle, oltre un secolo di dominazione francese ha almeno lasciato un’eredità positiva di morbidi e squisiti dolci al cucchiaio.
Anche se il caffè è tutt’altro che cattivo (se lo avete bevuto in Inghilterra o negli USA, questo vi apparirà fantastico…) consiglio a tutti di fare come i residenti e di non perdersi, soprattutto dopo mangiato, un magnifico the verde con le foglie di menta fresca in infusione. Dicono che abbia straordinari poteri digestivi e, stando alla nostra esperienza, non possiamo che confermare.

 

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