Proprio nei giorni in cui, grazie a mirabili azioni di recupero, Pompei dona al mondo nuovi tesori (stavolta addirittura una archeobottega di finger food), si conclude il ciclo di (70) webinar “La valorizzazione del patrimonio culturale e del turismo” ideato da Isnart, in sinergia con Unioncamere e Camere di Commercio locali, a supporto di imprese e professionisti per far ripartire da protagonista il settore. Uno sforzo poderoso, che per mesi ha interagito coi sistemi-territorio nazionali onde stabilire un proficuo dialogo coi diversi operatori (ricettività, ristorazione, produttori, servizi), sensibilizzarli, “aggregarne” istanze e fabbisogni per proporre – in risposta – casi-studio, focus tematici, kit di attrezzi.
Ne scrivo qui anche in quanto ho avuto il privilegio, e il piacere, di figurare tra gli esperti cui sono state affidate le relazioni, ho costituito una delle voci tramite cui comporre un puzzle di punti di vista e d’input per il post-Covid. E mi piace in particolare “riandare” a ciò che ho vissuto negli webinar per Emilia Romagna, Toscana, Abruzzo.
Se fino a ieri qualcuno poteva ancora pensare che un free translator bastasse a comunicare adeguatamente col mercato straniero, o che una “sponsorizzata” qui e là significasse di per sé praticare social media marketing, oggi gli attori sono chiamati a ben nuove consapevolezze e a ben mirate strategie. Il ciclo di webinar ha in tal senso garantito contenuti ben spendibili dalle imprese perché trasversali, contenuti che le imprese potranno validamente contestualizzare nei propri contesti specifici, declinando buone prassi (benchmarking) che talora è la concorrenza stessa a render “disponibili”.
Il fine dell’Italia, trascorsa la tragedia pandemica, è/sarà sempre più attrarre un turismo sì “slow”, ma curioso, vivace, finalmente diffuso anche presso destinazioni meno sovraffollate, e più destagionalizzato quanto ad arrivi, capace di apprezzare borghi “via dalla pazza folla”, a misura d’uomo, lontani da molte delle disneyizzazioni (1) di massa in atto.
Tale turismo richiede, ed implica, una cultura dell’accoglienza poggiata sulla qualità e la sicurezza, ma anche della formazione continua, senza la quale quei valori ospitali – come noto – non si dispiegano. Ci stiamo ormai riferendo, tuttavia, ad un lifelong learning che venga per prima cosa inteso come stimolo a porsi in gioco, a comparare la propria offerta alle altrui, ad osservare la propria azienda dal punto di osservazione del cliente (da Philip Kotler a Chris Anderson l’esortazione è copernicana e cogente da decenni). Non più vendere quel che si è prodotto, bensì produrre quel che si vende. Ecco dunque il predominio della domanda sull’offerta, ed ecco alcuni imperativi immediati: l’ottimale interculturalità della lingua inglese (e qui cederei la parola a Luisa Puppo), l’adeguata digitalizzazione (là dove 8 turisti su 10 prefigurano e pre-modellano su web e social i propri viaggi e soggiorni), la capacità di storytelling per saper raccontare se stessi prima ancora che il proprio hotel, agriturismo, olio, piatto, e per coinvolgere l’ospite.
Come ho ripetutamente scritto, ivi inclusi anche i miei due ultimi saggi (2), oggi (domani) la sfida del marketing e del management si gioca in funzione di un turismo anzitutto sensoriale, interattivo, dinamico (che cerca esperienze dirette, relazioni, emozioni), ed occorre dunque “trasferire” massicce dosi di “genius loci” in tale ospite, ormai pienamente prosumer e consum-attore. Ospite che ama impegnarsi in attività concrete, recitar ruoli, essere ingaggiato in un team che consegue un risultato (mutuando Confucio “se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”). Cucinare una salsa, cuocere una ceramica, cucire un tessuto, raccogliere un ortaggio. Ospite che poi diverrà Ambasciatore delle identità e sapienze con cui ha familiarizzato, e in termini di customer satisfaction riserverà loro passaparola virali quanto mai vantaggiosi…
Vien dunque da concludere che il malefico Covid lascerà forse questa fra le eredità non inutili, la consapevolezza di dover riflettere su modelli di vita e di sviluppo diversi ed altri rispetto agli attuali, riflessione cui nemmeno il turismo potrà sottrarsi, specie in quegli àmbiti dove ormai troppo latitava il rispetto dei luoghi e degli abitanti. Personalmente, da molto tempo ho chiarito le mie convinzioni e schierato le (modeste) forze di Ligucibario®, pertanto – ora che Deogratias il 2021 bussa alle porte – il mio auspicio traguarda un turismo sempre più sostenibile per habitat e persone, e sempre più accessibile ai diversamente abili (tema su cui si gioca la reputazione di un popolo), e naturalmente filiere food accorciate, prodotti autentici, alimenti che profumino di buonessere e di convivio, “cifre” che da secoli e secoli caratterizzano la miglior Italia, quella delle 20 splendide cucine regionali, dalla focaccia genovese ai bucatini all’amatriciana, dalla pizza napoletana al lampredotto toscano, dalla cassoeula milanese alla cassata siciliana…
Quella che sovente il mondo imita (ma senza mai eguagliare).
(1) il neologismo, e la descrizione del fenomeno cui allude, è ad es. in alcune preziose analisi di Marxiano Melotti
(2) U.Curti, Libro bianco del turismo esperienziale. Prospettive (in Liguria) per territori, cultura, imprese, ed. Sabatelli, Savona, dic. 2018.
U.Curti, Turismo esperienziale. Artigianato e food nell’offerta turistica in Liguria, ed. GD, Sarzana (SP), 2020
Umberto Curti
28 dic 2020 | Pubblicato in Ligucibario
Webinars per la ripresa con Isnart e Unioncamere
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