Gabriello Chiabrera (1552-1638), aristocratico savonese * , è stato un poeta e drammaturgo del ‘600, assai erudito quanto a stile e assai “posizionato” quanto a frequentazioni letterarie. La città natale gli intitola un teatro ottocentesco ed un liceo. Sebbene frugale nell’alimentazione, in vita Chiabrera cantò ripetutamente il vino. La celebre “Invito a bere”, ad esempio, è una tenue ballata di tema anacreontico, frivola, leggiadra, conviviale, giocata fra flash delicati e originali (il vino color porpora che profuma di fragola) e l’allusione, ellenistica, alta, all’aspetto erotico connesso alla coppa decorata, durante un fugace invito all’amata in un albeggiare lungo un fiume. I temi, come sempre, vengono tutti sfiorati con tocco lievissimo… Nella “Guida storica economica ed artistica della città di Savona” (1874), Nicolò Cesare Garoni, “eruditissimo letterato” come lo definisce un biografo (realmente un enfant prodige, patriota, storico, giornalista politico…), tratteggia una sintesi in qualche modo elegiaca dell’agro savonese fra il torrente Quiliano e il Letimbro (Lavaniola). Un ridotto, ma fertilissimo areale, ora purtroppo quasi interamente edificato fra condomini e inguardabili fabbricati aziendali, ma al tempo di Garoni forse quasi identico a quello celebrato in versi 200 anni prima da Chiabrera, ovvero la campagna di Legino dove il poeta – salendo una crosa dalla chiesa – teneva villa, terreni lavorati a vigna, e dove soprattutto amava oziare. Precisa Garoni: “Il suolo della Sabazia è la maggior parte calcareo, argilloso e siliceo. La celebre primavera perpetua delle riviere ligustiche fiorisce nelle sue valli e ne suoi orti, difesi da soffi acquilonari, un mese prima che nella gran valle del Po e matura il mandorlo, la noce, il nocciuolo, la giuggiola, il pruno; pesche che vincono di bontà e di bellezza le celebri di Verona; il pero d’inverno, il gelso il carubbo, il limone, l’arancio, l’arancina, Cypris aurantius sinensis, nel nostro volgare chinotto, il melograno e ogni primizia di saporiti legumi: nei giardini profuma i fiori più gai e sfoggiati, la rosa, il garofano, il gelsomino, l’ortensia e la sempre verde mortella e il pomo di Adamo e la palma. Sovra i colli educa l’ulivo e imbalsama l’uva. I monti sono boschi di castagni e i sommi gioghi selve di pini e di roveri. Oche, anitre, galline, tortore e colombi popolano le corti e i giardini e i molini e i ruscelli e i canali e la mattina colle acute grida risvegliano i cacciatori: o colle lamentevoli voci accompagnano la quiete del mezzogiorno e la mestizia della sera. Dappertutto ronzano le api, intese al lavoro del miele, delizia degli uomini e degli Dei”. Ma soprattutto Garoni solennizza il vino, bene d’eccellenza e vanto locale. E in tal senso rievoca proprio Chiabrera, alto poeta, devoto certamente a Venere ma non indifferente al complementare fascino di Bacco. Prosegue Garoni: “Il vino è pur sempre il principal prodotto dell’agro savonese, quantunque dopo il 1850 la crittogama (oidio, infezione da muffa fungina, ndA) s’abbia divorata quasi metà delle viti. Gabriello Chiabrera, che avea contezze e gusto degli ottimi vini d’Italia e sedeva fra i bevitori gentili, non negava suo titolo d’onore a ciascuno e amava quello di Savona”. Effettivamente Chiabrera costruì – anticipando ad es. il Ditirambo del Redi – un poemetto, “Le vendemmie del Parnaso”, in cui la produzione vinicola di Savona, sebbene non comparabile ai rivali allora più famosi, è cantata con sentimento. Fu tra l’altro sempre il Chiabrera a “battezzare” il Letimbro coll’attuale nome: prima si chiamava “Lavaniola” e il poeta volle ribattezzarlo Laetus Imber, fiume quieto e pulito. “Le vendemmie del Parnaso” rappresenta un poemetto tuttora, qui e là, gradevole a leggersi.
* orfano di padre, la madre si risposò col nobile Paolo Gavotti
Umberto Curti