Capra stufata, tradizione dell’estremo Ponente, ma anche dell’entroterra genovese e del Tigullio. La capra richiedeva lunghe cotture in quanto “anziana”, prima venendo sfruttata per il latte e i prodotti che ne derivano e per ricavare dalla pelle otri da trasporto. Il bestiame era infatti ricchezza lato sensu, possedere tre capre equivaleva ad una polizza sulla vita e ad un lasciapassare attraverso i peggiori inverni (così come le pecore fornivano anche lana per indumenti, cuscini, materassi).
Era il piatto dei pastori della Val Nervia, dove le pendenze e la scarsa vegetazione consentivano solo il pascolare delle agili capre (e se ne avvertiva l’odore!). Oggi si sceglie una bima giovane, che non abbia partorito. I fagioli vanno ammollati una notte intera in acqua tiepida. La cottura è di circa 3 ore a fuoco lento. Consumata classicamente con fagioli di Pigna-Badalucco-Conio, o patate, o polenta, o marò di fave, la capra chiede ad esempio un bel DOC Dolceacqua (anche Superiore cioè affinato un anno abbondante, sino al novembre successivo alla vendemmia), che di solito entra anche nella preparazione, o più agile una Granaccia Val Ponci nel Finalese.
La capra è una derivazione dell’egagro dell’Asia centroccidentale, con grandi capacità di adattamento anche in montagna, e molto selettiva quanto a nutrimenti. Il capretto è l’individuo da latte, peso sino a 10 kg, quando comincia a brucare ecco che il sapore delle carni si fa presto più temibilmente ircano * . Si cucina come l’agnello. “Carne di capra, legno di fico… invita l’amico!”
A questo link hai come sempre la mia ricetta https://liguricettario.blogspot.com/2010/12/capra-coi-fagioli_21.html
* ircano è non a caso anche un formaggio caprino sardo, a pasta semicotta
Umberto Curti