La classificazione italiana del ’63 (dall’alto al basso DOCG, DOC, IGT, vino da tavola) “rifletteva” le consolidate esperienze francesi, dove i 4 livelli si chiamano rispettivamente AOC, VDQS, vin du pays e vin de table.
Un vino è DOC quando, sostanzialmente, viene prodotto rispettando un protocollo disciplinare e all’interno di una specifica zona (DOCG è quello di ulteriore pregio, e diviene tale dopo aver meritato la DOC per almeno 5 anni).
Dal 2009, in seguito alle decisioni dell’UE dapprima del 2002 (VQPRD) e poi del 2008 (aggregazione in DOP), non si assegnano più nuove DOC, ma beninteso i vini che vantano già questa denominazione sono legittimati a ripeterla.
I vini DOC, in Italia, si attestano attualmente intorno ai 300, i DOCG intorno ai 45. La querelle è sempre aperta, perché alle DOC si imputa da un lato un’eccessiva rigidità, ad esempio per quanto attiene all’affinamento di alcune produzioni, dall’altro un’eccesiva tolleranza, ad esempio per quanto attiene a vitigni e rendimenti alla base di altre.