Anche quest’anno si è consumato il rito quasi “antropologico” della vendemmia (“vinum demere”, estrarre il vino), e molti hanno riferito di un’annata abbastanza positiva per quantità e decisamente positiva per qualità (ne godremo gli esiti prima in botte poi in bottiglia). Premesso che il lavoro in vigna non finisce mai, ed impegna l’uomo 365 giorni l’anno in un rapporto simbiotico con la pianta, su alcuni territori, tra filari apparentemente spogli, s’avvicina ora anche l’opportunità di vendemmie tardive, che in taluni casi possono spingersi fino a febbraio. L’esperienza del viticoltore decide selettivamente caso per caso.
Con vendemmia tardiva (vendange tardive in Francia/Alsazia…) ci si riferisce alla menzione formale di un vino ottenuto dai grappoli rimasti (appassiti) sulla vite dopo l’avvenuta maturazione fisiologica. Ciò che determina – grazie a sole autunnale, temperature non inferiori ai 17°C… – una surmaturazione, e una concentrazione di zuccheri dentro l’acino che verrà mostificato. Quindi si realizzeranno vini a maggior dolcezza, minor acidità, di colore carico, aromatici, e gustativamente “densi”, in qualche modo antitetici agli spumanti, ma sovente altrettanto costosi. Ove il clima lo consenta, si lasciano anche aggredire le uve, beninteso monitorando il processo, dalla muffa nobile Botrytis cinerea, conferendo al prodotto caratteri ancor più peculiari (e di pregio, è ad esempio il caso del celeberrimo Sauternes, le cui bottiglie “da collezione” spuntano prezzi da asta. Personalmente ricordo quasi fosse oggi la prima volta che assaggiai un premier cru supérieur Château d’Yquem).
La vendemmia tardiva purtroppo è “giunta” in Italia con ritardo, e tale metodologia – che richiede competenza, tempo e tecnologia – ancora non appartiene alla nostra tradizione, che come noto ha sempre privilegiato un appassimento – seguendo varie prassi – delle uve recise. Di conseguenza, nessun vino tricolore da vendemmia tardiva ha sin qui saputo posizionare un’immagine high profile sui mercati internazionali. La Liguria non fa in tal senso eccezione, anche per le minimali quantità di prodotto, sebbene vi siano stati positivi sforzi col recuperato Moscatello di Taggia, il Pigato, la Granaccia, il Vermentino (Luni), produzioni ben equilibrate.
I vini da vendemmia tardiva consentono peraltro numerosi abbinamenti (personalmente dissento circa ostriche e crostacei): da alcuni formaggi alla pasticceria secca, da dolci con frutta a guscio (spongate, panforti…) sino a cioccolati con basso tenore di cacao… L’intenditore, ovviamente, può talora apprezzarli anche come vini da meditazione. E meditare, di questi tempi, sembra attività proprio ineludibile.
Umberto Curti