Gli incontentabili mi avevano allertato: a Vicenza ormai non si sa più dove mangiare. E invece ho mangiato, e bevuto, molto bene, “ritrovando” una città più luccicante rispetto a quella che conobbi una vita fa, e che non sconta più l’ingombrante vicinanza di Venezia, Padova e Verona. Anzi, per uno che come me scrisse 10 anni fa un impietoso saggio sulla crisi turistica in Liguria, riecco l’impressione che altrove ogni volta – stavolta è Vicenza – si accolgano meglio il visitatore e il gastronauta…
Nell’ordine, dal 28 al 31 dicembre: ho dormito 3 notti all’hotel “Do Mori”, centralissimo due stelle con arredi d’epoca. Ho visitato il Teatro olimpico, il Museo palladiano, il Museo del gioiello (artigianato finissimo di cui vorrei riparlarti), e una mostra “Il colore come forma plastica” allestita da Banca Intesa-Gallerie d’Italia presso il museo di Palazzo Leoni Montanari con opere di Balla, Tancredi, Matino… Non ho viceversa visitato il blockbuster “Tutankhamon Caravaggio Van Gogh. La sera e i notturni dagli Egizi al Novecento” organizzato da Marco Goldin-Linea d’Ombra presso la Basilica palladiana, mostra inaugurata il 24 dicembre e che si protrarrà sino al 2 giugno, dandomi – nel caso – la possibilità di goderla in primavera.
Ho mangiato alla “Sòtobotega” della celeberrima rosticceria Ceppo, al “Ritrovo”, al “Mi&Le”, e al “Paradiso”.
Che dire? Nelle città d’arte io non cerco di guardare molte cose, la quantità genera una confusione nociva ai dettagli, io preferisco vederne poche ma in profondità, e Vicenza mi ha elargito momenti intensi (incluso uno, assai poco gradito, che ti accenno brevemente in fondo all’articolo…). Le vestigia romane (Vicetia ebbe terme, teatro…), gl’innumerevoli palazzi patrizi, le chiese e i musei compongono infatti un puzzle di spiccata identità, con scorci rinascimentali degni di Venezia. Uno specifico dépliant ti guida, se vuoi, lungo l’itinerario intitolato a Palladio.
Questa infatti è, come noto, la terra di Palladio, genio dell’architettura cui fece da mentore il Trissino, ma anche – dato che io sono un enogastronomo… – del saòr, della soppressa, dei bigoli co’ l’arna, del bacalà, dell’Asiago, del Morlacco del Grappa, del broccolo fiolaro di Creazzo, della torta “Gata” * , del Torcolato di Breganze (o del Dindarello, passendo 100% uve moscato), e – last but not least – delle immense grappe di “Poli”.
Molti locali oggi aderiscono alla “Confraternita del bacalà”, e quindi propongono un commendevole menu localistico, con qualche incursione verso le province limitrofe, per il prosciutto crudo (dolcissimo Montagnana), il radicchio, il tiramisù… La “Sòtobotega” di Ceppo, in particolare, incentiva 3 opzioni: Tasting bacalà (anzi, sua maestà il bacalà), Tasting tradizione, Tasting territorio, tutte con azzeccati abbinamenti enologici, che il premuroso staff femminile ti suggerisce a voce, dal Durello Marcato Lessini metodo classico, che sosta 36 mesi sui lieviti, sino ai Tai (Tocai del Veneto), a vari cru di Cabernet, e ai passiti. Il dessert è una quadrifonia, dalla torta “Gata” sino al zaletto (zala è la farina di mais), dalla colonna di Palladio con olio evo dei Monti Berici sino all’audace mostarda di cotogne.
“Mi&Le” e “Ritrovo” sono due validissime soste-brasserie, con vicentinità sorridente e calici giusti, perfette in primis per i giovani e per il turista che a tavola non investe molto tempo, o che vuole tenersi leggero (vi assaggi per esempio anche saporite niçoise, cesar salad, tranci di millefoglie, tiramisù in tazza…). Al “Mi&Le”, Luisa ed io abbiamo sorseggiato, eccellenti, il Cabernet di Le Vegre e il Sylvaner di Muri Gries.
Il “Paradiso”, infine, dal 1980 è una magica risorsa che consente ogni tipo di problem solving gastronomico: la pizza è pasta madre lievitata 36 ore; il menu-degustazione è un’indovinata terna polentina-bigoli-bacalà; il resto dei piatti comprende insalate “componibili”, hamburger, o vari classici della tradizione italiana, fra cui il risotto, ma in costante rinnovamento. Quanto al vino, noi abbiamo bevuto Pinot nero di Girlan e Lugana di Ottella (que viva éste trebbian!), ma volendo trovi anche birre artigianali di oggettivo fascino. Un encomio ai camerieri, quanto mai garbati e professionali.
Interessanti poi, a metà giornata, le caffetterie-teierie, dove scaldarsi un po’ visto il grande freddo (la mattina termometro a -4) e dove ho intravisto cioccolati importanti, fra cui “Beppiani” (di Feltre) e “Peratoner” (di Pordenone).
Purtroppo, a fine vacanza, in una di queste caffetterie sono stato derubato del portafogli, contenente anche bancomat, patente di guida… Auguro, al galantuomo che mi ha borseggiato, un 2015 tutto lieto e sereno come quei primi attimi che il suo gesto mi ha regalato.
Umberto Curti, Ligucibario
* la torta “Gata” ironizza sul famoso detto “visentini magnagati”. Farina bianca e di mais Marano, uova, burro, latte, miele, mandorle, grappa, cacao. E’ venduta dentro una bella confezione in prevalenza bordeaux, dove un’apposita formella consente di disegnare con lo zucchero a velo l’impronta delle zampette feline. Ottima idea, il marketing dell’enogastronomia italiana ha bisogno solo di creatività!