Una recente indagine, commissionata su un cluster di 2mila italiani, ha rilevato che mediamente si trascorrono circa 6.235 ore l’anno dinanzi ad uno schermo (18 ore al giorno). Diverranno 47 anni di vita… In dettaglio, ben più di 3 ore al giorno dinanzi alla tv, ben più di 4 dinanzi al PC, e 4 dinanzi allo smartphone e dintorni.
Le conseguenze negative, come ovvio ed ormai ben noto, sono sia fisiche sia psicologiche, giungendo talvolta a vere ansie da dipendenza verso lo strumento tecnologico, a causa di un utilizzo bulimico cui non ci si riesce a sottrarre. E qui vorrei beninteso bypassare l’abusato concetto secondo cui nulla può imputarsi alla tecnologia, bensì all’impiego che se ne fa.
Anche il turismo e il food (i settori di cui per lavoro mi occupo) hanno risentito di questa sbornia cibernetica, che oggi continuamente mescola reale e virtuale, sovente con sproporzione grottesca, rivoluzionando promozioni, scelte d’acquisto, fruizioni, servizi, percezioni.
Infine, pur non militando fra gli utopisti rurali né fra i misoneisti (non amo la demagogia a buon mercato), io pure mi chiedo – purtroppo – se anche la tragedia coronavirus stia transitando dentro le nostre vite senza insegnarci alcunché. La lezione numero uno, se non sbaglio, avrebbe dovuto consistere in una recuperata e rinnovata attenzione agli equilibri naturali, e in una messa in discussione di molti modelli di quotidianità nocivi, ma via via le esigenze di profitto e i “decisori” finanziari hanno riavviato i loro motori a pieno regime. Inquinamento, riscaldamento globale, sperpero della risorsa florofaunistica del pianeta, disparità sociali, trash food restano sempre più la cifra distintiva della nostra stagione storica, che dalla globalizzazione ha derivato soprattutto l’insostenibilità.
Viviamo un kali yuga (un’età della decadenza condizionata da conflitti e per converso da indifferenza interiore) di cui raramente si riesce ad intravedere, o sperare, la fine. Ne parlavo già nel 2005, scrivendo il mio primo libro, auspicando “alte stagioni” ovvero (detto tra noi) stagioni diverse.
In tale scenario, il turismo e il food – se ben interpretati e “gestiti” – potranno tuttavia recitare un ruolo progressivamente benefico, davvero non tutto è perduto. Il turismo dovrebbe infatti esser per natura, e talora è, la dimensione dell’interculturalità, del rispetto dei luoghi, del convivio, delle esperienze relazionali.
Dopodomani (27 settembre) si celebra come ogni anno da 41 anni la cosiddetta “Giornata mondiale del turismo” (World Tourism Day), quest’anno per ovvie ragioni il compleanno è meno felice.
Si tratta dunque, ora più che non mai prima, di interpretare correttamente alcune tendenze indotte dalla pandemia, di trasferire virtuosamente arrivi e flussi di ospiti anche verso mete meno “celebri” e meno congestionate (lontano dalle trafficate rotte dei “turisdotti”), di riscoprire località a misura d’uomo, borghi che hanno saputo conservare identità e tradizioni, accoglienze semplici – l’hotel famigliare, la trattoria, l’agriturismo vero, l’albergo diffuso, il bed&breakfast… – ma autentiche e premurose. L’Italia, lo sappiamo, è costellata di destinazioni dove il tempo pare talvolta essersi fermato, dove il genius loci si respira in ogni costruzione, nei manufatti, negli orti, sui moli, nei sapori della cucina, nelle creazioni dell’artigianato… In Francia, là comme d’habitude sono maestri del marketing, lo definiscono terroir: è il territorio che afferma un’integrità peculiare, tramandando con fierezza i propri valori, paesaggi, prodotti, know how…
A Golferenzo, un’incantevole “Rio Bo” dell’Oltrepo Pavese (terra di vini d’elezione * ), lunedì 26 ottobre prossimo presso Palazzo Belcredi Belloni, con Luisa Puppo (esperta di turismo internazionale), Valeria Pruzzi (formatrice e coach) ed altri qualificati Amici parleremo proprio di tutto questo, condividendo riflessioni e soprattutto buone prassi. A presto!
* la vastissima ampelografia riunisce vitigni quali barbera, riesling, cortese, moscato, malvasia, pinot, chardonnay, sauvignon, croatina, uva rara, vespolina e cabernet sauvignon
Umberto Curti