La transumanza diviene patrimonio culturale immateriale dell’Unesco, grazie ad un’iniziativa congiunta di Italia, Grecia, Austria. La periodica migrazione delle mandrie e greggi, nella stagione calda verso gli alpeggi, in quella fredda verso i fondovalle, è stata iscritta all’unanimità nella lista Unesco. Dunque, l’Italia stabilisce anche la primazia in termini d’iscrizioni rural-agroalimentari, anteponendosi a Turchia e Belgio. Dal Trentino al Lazio, dalla Campania alla Puglia la cartina geografica nazionale è ormai punteggiata di luoghi-simbolo.
Dopo la dieta mediterranea, la coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria (TP), l’arte del pizzaiuolo napoletano, la tecnica dei muretti a secco e dei paesaggi vitivinicoli delle Langhe e del Prosecco, il riconoscimento circa la transumanza concerne ancor più l’Italia intera, coinvolgendo infatti comunità individuate dal dossier di candidatura (originato da Amatrice dopo il terribile sisma) come diverse tra loro ma unite da un fil rouge antico: Amatrice (Rieti), come detto, Frosolone (Isernia), Pescocostanzo e Anversa degli Abruzzi (L’Aquila), Lacedonia (in Alta Irpinia, Avellino), San Marco in Lamis e Volturara Appula (Foggia), nonché aree lucane, lombarde, trentine (Val Senales)…
I pastori – la cui attività risulta fra le più sostenibili ed efficienti – inevitabilmente possiedono una profonda conoscenza degli habitat, delle armonie tra l’uomo e i cicli della natura circostante, e – last not least – dei veloci cambiamenti climatici in atto: dal Molise alla Valle d’Aosta, dal Veneto alla Sardegna essi pertanto garantiscono un (insostituibile) presidio fisico e personale del territorio, ed una perpetuazione preziosa di usi zootecnici e caseari lungo itinerari quanto mai “autentici” come le vie dei pascoli. Ovvie anche le connessioni col settore turismo, dal momento che gli ospiti sempre più desiderano sperimentare anche in Italia vacanze attive, green, relazionali, all’insegna del buonessere (amico lettore per saperne di più sulle tendenze in atto clicca https://www.sabatelli.it/?product=libro-bianco-del-turismo-esperienziale-e-foodcrafts).
E la Liguria? In Liguria il pensiero viaggia verso le aree più montane e talora più appartate, la val d’Aveto a levante, Bardineto (SV) in alta val Bormida, la valle Arroscia, Monesi e Mendatica (IM) ormai ad un passo dalla cultura ormeasca ed occitana del Cuneese, Triora (IM)…
Ligucibario® racconta da anni anche la cucina bianca, coi menu “malgari”, e il forte impiego di farinacei, latticini (tome, brusso), patate, porri, aglio, rape, pasta (sovente senza uova e condita sovente senza pomodori), castagne, miele, per confezionare piatti unici e corroboranti, dato che gli inverni, ieri ancor più d’oggi, imponevano calorie, ovvero creatività in base a quel che c’era.
Queste culture, tuttavia, queste economie, avranno un futuro? O le criticità nell’organizzazione e nel marketing, nella distribuzione commerciale, nel dialogo quotidiano con la burocrazia, nella conoscenza delle lingue del mercato, nella promozione su web e social ne decreteranno la progressiva scomparsa?
Ofelè fa el to mesté: chi, come me e Luisa Puppo, si occupa di comunicazione e formazione, sarebbe lieto di proporre ai cosiddetti “players” qualche riflessione operativa in merito, dato che finora – temo – molti progetti forse non son valsi a portare in loco neppure un turista in più…
Umberto Curti
17 dic 2019 | Pubblicato in Ligucibario
La transumanza patrimonio Unesco
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