Riceviamo e volentierissimo pubblichiamo da un amico del Made in Liguria (e di Ligucibario), quest’interessante articolo che esplora la diverse declinazioni “geografiche” di una preparazione antichissima .
Testaroli, panigacci e testaieu. Un uso antico di cucine povere, diffuso in tutto il mondo con nomi diversi

Un piatto di testaroli al pesto di basilico preparati dallo che del Ristorante Piedigrotta di Genova secondo la ricetta di Umberto Curti, Ligucibario
Affonda nella notte dei tempi l’uso di creare una pastella d’acqua e farina e farla cuocere su una superficie calda. Erano nutriti così antichi eserciti e povere popolazioni rurali. Chi non aveva buona farina bianca, usava farine di mais, castagne, segale, farro, ma anche ghiande, in questo modo si sfamarono generazioni di popolazioni rurali.
Nel mondo prodotti simili, con qualche modesta variante tra loro sono ben conosciuti. In Italia oltre a testaroli, panigacci (ma qualcuno dice panigazzo) e testaieu, incontriamo i borlenghi o burlenghi del modenese, insieme alle crescentine, e poi piadine, crescia, crostoli, necci (di castagne), pane carasau e nel mondo pita, chapati, tacos, pide, tortillas, saj, marquq, pane azzimo, e con qualche variante negli ingredienti anche le crepes, la palacinca o palacinta, i blinis e i pancakes possono essere ritenuti figli di una stessa cultura.
Di testaroli n’esistono due tipi. Uno meno noto è quello tipico della bassa Val di Magra, nella parte ligure della Lunigiana, particolarmente nel comune di Sarzana e nel vicino comune di Castelnuovo Magra. La pastella viene cotta su un testo di ghisa, precedentemente unto con una mezza patata bagnata nell’olio, girato su due lati, rimane morbido, tanto che si può anche arrotolare e la tradizione li vuole conditi con pesto o con olio e formaggio grattugiato.
Il testarolo pontremolese è oggi decisamente più conosciuto soprattutto per motivi commerciali a causa della possibilità di conservarlo, di produzione industriale si trova ormai comunemente in negozi e supermercati di Liguria e Toscana negli Autogrill e, oggi, anche in altre aree, viene commercializzato in grosse buste plastificate sotto vuoto. E’ un grande disco di pasta, leggermente più spesso del testarolo sarzanese, si taglia a piccoli pezzi, e deve essere ricotto in acqua bollente e salata come la pasta, scolato e condito con pesto o olio e formaggio.
I panigacci sono comuni alla parte toscana della Lunigiana e sono originari del comune di Podenzana, che ne ha fatto un piccolo sistema economico con diversi ristoranti specializzati. Si cuociono in testi di terracotta piani e con un piccolo bordo rialzato, questi sono messi ad arroventare su un fuoco o nel camino, quando sono caldi si versa nel primo la pastella, si sovrappone un secondo testo, schiacciando la pastella, si versa ancora pastella anche nel secondo testo e poi se ne aggiunge un terzo e così via sino a creare una pila, la pastella, pressata sopra e sotto dai testi cuoce rapidamente, a questo punto viene staccata, servita in cestini e accompagnata con salumi vari (prosciutto, pancetta, lardo, salsiccia, salame) e stracchino. Nel confinante comune di Bolano, che amministrativamente è ligure, prendono il nome di panigazzi.
Nella zona del Tigullio orientale, in provincia di Genova, particolarmente in Val Graveglia nel comune di Ne, si fanno i testaieu, praticamente con lo stesso procedimento dei panigacci di Podenzana, con la differenza che i testetti di terracotta, prodotti tradizionalmente a Iscioli, frazione del comune di Ne sulla strada di collegamento con la Val di Vara, sono un po’ più profondi al centro col risultato che il testaieu rispetto al panigaccio resta convesso, più morbido e un po’ più crudo al centro. Anche l’uso è diverso, ricordando in questo più il testarolo sarzanese, viene servito condito, principalmente con pesto, ma anche con olio e formaggio, in passato era comune anche con olio e aglio. Un tempo in Val Graveglia la gente del luogo faceva i “fugasin de megà” fatti con farina di castagne, oggi praticamente introvabili.
Oltre la dorsale appenninica in provincia di Modena si usa il borlengo (o burlengo) che è farcito con un battuto di lardo, rosmarino e parmigiano grattugiato identico a quello usato per le tigelle o crescentine.
Nell’Appennino pistoiese e bolognese, ma anche in Garfagnana e nell’alta Versilia si trovano i necci, fatti come i testaroli, ma realizzati con farina di castagne e generalmente farciti di ricotta.