15 nov 2021  | Pubblicato in Ligucibario

Storie di vino in scena

emanuela rolla

emanuela rolla

In una piovosa domenica di novembre, un po’ di buon tempo a teatro scalda corpi e cuori, specie dopo tanti mesi di lockdown totali e parziali…

Ho infatti assistito con Luisa, presso il Teatro Garage di Genova, a “Vininprosa. Storie di resistenze e rivoluzioni”, messo in scena da Emanuela Rolla e da costei ideato con Luca Maschi. Negli articoli che lo promuovevano mi aveva colpito (la mia vita più che il mio mestiere è la storia dell’alimentazione) l’intreccio palcoscenico-vini, che già il titolo ben prefigurava.

Seguo il teatro ma – e me ne dolgo – non conoscevo Emanuela, che pur vanta un curriculum venticinquennale di assoluto livello e che mi pare legata a Genova da un visibile cordone ombelicale.

E’ stata una felicissima sorpresa. Ho infatti impattato in un’artista che non si risparmia (sola in scena, regge per oltre un’ora l’intero spettacolo) e che sa miscelare molteplici temi con assertiva performance fisica e vocale, ergo spirituale. Temi annodati tuttavia da un fil rouge (narrativo), e da un assioma (interiore) chiarissimo, che da molti, molti anni ho fatto anche mio: la verità abita nella natura. Punto e a capo.

Dello spettacolo, che nasce da contatti reali con “gente di vigna e di cantina”, ho amato anzitutto le parti centrali, la barbona-ubriacona che in realtà si erge a paladina del vinificare pulito, e la candidata sommelière, che fra mercaptani e pelure d’oignon* satireggia alcuni atteggiamenti e lessici dei cosiddetti guru (lessici che, lo confesso, talvolta debbo praticare io stesso).

Una pièce, ove costruita con sagacia, incide un segno, fende una tela, getta un seme, anche grazie all’immediatezza della corporeità scenica, da Emanuela ora posta al servizio dell’ironico, ora del grottesco, ora del leggiadro. Seme che Emanuela ha poi “ribadito” anche intrattenendosi col pubblico nel post-spettacolo, difendendo un’idea precisa (inneggiando alla vita), da spartire con gli spettatori…prima che sia troppo tardi.

Nella mia visione, e presumo anche nella sua, quel seme lo piantarono via via, per limitarsi al ‘900, Adorno, Pasolini, Bauman… Non torno su ciò che ho già scritto sino alla noia a proposito di un tempo sempre più accelerato, brutale, spersonalizzante, che in nome del profitto e del possesso va compromettendo persino il clima e dunque l’esistenza stessa del pianeta.

Chi segue Ligucibario® (non sono poi pochissimi) sa che la mia militanza è sempre e comunque dalla parte delle agricolture umane, delle filiere brevi, delle cultivar autoctone, del buonessere, della memoria difesa e non tradita. Ebbi il privilegio di conoscere anche Gino Veronelli, dunque… Raccontava vini genuini, “camminava” osterie, la madre era di Finalborgo, e i vigneti verticali della Liguria – da Pornassio alle Cinque Terre – ammaliarono anche Mario Soldati.

Mi piacerebbe insieme a Luisa condividere un calice con Emanuela e Luca, a prescindere dai progetti che potranno derivarne. Ciò che loro affermano, e recitano, si potrebbe “declinare”, tanto per dire, anche a proposito dei grani antichi, in un Paese che per la gran parte neppure conosce quel che avvenne negli anni ’70 – purtroppo anche in Italia – con la mutagenesi radioattiva dei cereali… Un Paese che acquista Kamut©  ma sovente non sa che quel grano duro (Khorasan) cresce con altri nomi anche in Sicilia, Abruzzo, Toscana…

Si potrebbe declinare anche a proposito degli olii sulle tavole, tanto per dire, in un Paese che per la gran parte neppure conosce la differenza tra olio d’oliva (raffinato da una rettifica) ed olio extravergine, ovvero mosto di drupe…

Emanuela, Luca, grazie. Che dirvi ancora, se non a presto?

Umberto Curti

* mercaptani sono i responsabili dello sgradevole odore d’uova marce là dove lo zolfo durante la fermentazione ha reagito con lieviti morti o fecce; pelure d’oignon è notazione cromatica utilizzata per alcuni rosati
umberto curti

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