Spesso provo invidia per mio marito che ha avuto due nonni fantastici, due persone nate e cresciute in un piccolo paesino dell’Ovadese, passati attraverso una guerra mondiale e una campagna di Russia con tanto di ritorno a piedi (il nonno), che hanno fatto i contadini, e che con questo sono campati e hanno allevato tre figli maschi. Il nonno teneva il bue e una mucca per arare i campi e portare la merce a Genova lungo la via del Turchino, aveva piantato una vigna di cabernet che imbottigliava da sé, in un modo di “damigianari”, e si prendeva cura delle galline alle quali dava il granoturco, perché se alle galline non dai il tuo granoturco non ha senso che le tieni. Principio difficilmente applicabile a noi che, abitiamo in appartamenti e che saltiamo da una trasferta all’altra.
Ora, ai tempi del Covid-19, tutti questi meccanismi che regola(va)no le nostre vite sono divenuti incerti. Camminiamo su una lastra di ghiaccio sottile, ad ogni passo potrebbe rompersi. Andare a far la spesa con mascherina e guanti, a distanza di sicurezza gli uni dagli altri, frequentando obbligatoriamente il supermercato più vicino, ci fa sentire fragili, a disagio. Ma proprio questo tempo mi ha risvelato il piacere di NON fare più la spesa settimanale. Ho scoperto una rete di produttori locali, che normalmente frequento il sabato al mercato (quando non sono in trasferta), e che singolarmente – cadenzati nei vari giorni della settimana – mi consegnano uova, carne, latte e verdura. Niente di esotico ovviamente, tutto si basa sulla stagionalità e la freschezza. No avocado ma mazzetti di erbette, no patatine ma riso Carnaroli, no bevande gassate ma succo di mele dell’Oltrepo. Questo è, e quanto ci consegnano. Insomma, ci si inventa ogni giorno cosa portare in tavola nell’ottica di una dieta sana e variata, con prodotti a filiera corta, autentici e di stagione. Quelli che ancora si “salvano” dall’inquinamento, dai cambiamenti climatici, dalle forzature dell’industria.
Sono convinta che nel lungo periodo tutto ciò giovi, e contribuisca a tenere alto lo spirito in questo momento cosi difficile, nel quale siamo privati di alcune nostre libertà come andare in visita ai nostri genitori, pranzare in quella locanda che tanto ci piace, oppure fare una lunga passeggiata fuori porta. I produttori sono più vicini di quello che si pensi, consegnano alla bottega sotto casa, quella che abbiamo, a prescindere, il dovere di frequentare, oppure si sono organizzati per le consegne – essendo chiusi tutti i mercati settimanali – , e questo gli costa, vi assicuro, un grande sacrificio, in quanto non tutti hanno uno scontrino di vendita alto. Ma la campagna non si ferma e noi tutti abbiamo il compito di sostenerla, per tenere in piedi i territori, i borghi, le microeconomie, le “lentezze” antitetiche allo stress, e traguardare pian piano l’uscita dal tunnel (non ho dubbi che Ligucibario condivida tale impegno).
Sonia Speroni