Per l’elezione della pizza a “patrimonio dell’umanità” (Unesco), un settimanale ha chiesto la ricetta al pizzaiolo premiato nell’anno 2016 per la pizza migliore d’Italia.
Pur nel doveroso e pieno rispetto delle capacità e del lavoro altrui, e a maggior ragione quelle di un pizzaiolo premiato, mi permetto di notare che la ricetta allude a farina senza specificare né la tipologia (‘00’?) né tantomeno, eventualmente, la forza (W). Allude a lievito di birra dando per scontato che il lettore arguisca se fresco o secco. Infine, allude alla lievitazione (12 ore) senza specificare neppur indicativamente a quale temperatura svolgerla, là dove, persino in una medesima abitazione, un ambiente caldo-umido genera risultati ben diversi da un ambiente più freddo-secco.
Onestamente, a beneficio del consumatore meno “esperto” sarebbe forse stato opportuno un maggior livello di dettaglio (sono inoltre giunte alla redazione alcune mail e telefonate di lettori un po’ spiazzati anche dalle quantità di sale e lievito, peraltro poi confermate dal pizzaiolo stesso).
Ora infine che l’arte del pizzaiolo – simbolo di mediterraneità italiana – è divenuta un bene culturale da tutelare e promuovere su scala mondiale, mi sento ancora una volta di raccomandare farine semintegrali di grani antichi macinate a pietra, utilizzo di preimpasti (biga…) e comunque lunghe lievitazioni, olio solo e soltanto extravergine, nonché impiego per il condimento di materie prime (ma inclusi sale ed acqua dell’impasto) di eccelsa qualità, privilegiando le filiere accorciate, che vivificano le gloriose agroeconomie locali.
E, last not least, scrupolosa pulizia in primis dei forni, perché la farina bruciata è nociva alla salute, come ben sa chi vide su Rai3 il 5 ottobre 2014 la memorabile puntata di “Report”, tuttora integralmente reperibile online.
Pizza, focaccia, cibi di strada, gloriose storie regionali dentro un viaggio tricolore, da abbinare a giusti calici o giuste birre. Buon appetito.
Umberto Curti