21 nov 2014  | Pubblicato in Ligucibario

La pizza è il pizzaiolo. Decalogo per il consumatore 2

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Pizza: il segreto è nell’impasto

 

Pizza, pane, focaccia: noi italiani li amiamo, ma quanto conosciamo le farine, l’olio, i lieviti, e persino il sale e l’acqua che utilizziamo?

In un’epoca che, anche in gastronomia, tutto massifica e deteriora, la “correità” del consumatore consiste soprattutto nel rilevare sempre meno le differenze fra prodotti diversi e nel leggere troppo distrattamente le diciture in confezione, che viceversa si confermerebbero uno dei primi strumenti informativi di cui avvalersi (tenuto presente che, per fortuna, la frode alimentare è ancora sanzionata dal Codice Penale, e che dal 13 dicembre 2014 entrerà in vigore la nuova, e più restrittiva, normativa sulle etichettature).

Compriamo fuori casa, o ci cuciniamo nel tepore delle mura domestiche, la pizza, la focaccia, il pane, cibi evergreen ma che profumano anche di tempi andati… Sono alimenti quanto mai famigliari, l’Italia è per antonomasia la patria della mediterraneità a tavola, cereali, ulivi e viti, le nostre piante-paesaggio, impasti, olii e vini. Ci prefiggiamo l’accuratezza dell’artigiano, affermiamo di diffidare dalle “imitazioni”, e di praticare il più possibile la nutraceutica (e a Genova lottiamo contro lo strutto nella focaccia). Ma quanto conosciamo le farine, l’olio, i lieviti, e persino il sale e l’acqua che utilizziamo? Raffinazione, forza, glutine, impasto diretto e indiretto…, sono termini noti oppure incomprensibili? La salsa di pomodoro, la mozzarella, i prosciutti…, a fronte degli innumerevoli scandali e truffe che si sono susseguite in Italia e altrove negli ultimi anni, rappresentano ingredienti iper-sicuri grazie alla cosiddetta “consuetudine”, o viceversa al momento dell’acquisto occorre verificare? E “Cibo criminale” è il titolo di un thriller cinematografico o di un recente saggio di Mara Monti e Luca Ponzi (ed. Newton Compton), che smaschera una serie impensabile di nefandezze alimentari, dalla mafia dei formaggi inquinati sino al latte di bufala…importato dall’India?

Io, ma come me tantissimi altri, sono rimasto allibito assistendo su Rai3 alla, come sempre meritoria, puntata di “Report” del 5 ottobre 2014 (ora visionabile on line sul sito Rai), nella quale l’inviato di Milena Gabanelli, il valoroso Bernardo Iovene, ha svelato fatti ma soprattutto misfatti gravitanti nell’orbita della pizza tricolore, e non solo napoletana. Pizza, si badi bene, gloria del made in Italy, un piatto-simbolo festosissimo che – specialmente nelle sue versioni più basiche, la marinara, la margherita… – dovrebbe anche non costituire azzardo per la salute e il benessere, né per quanto attiene agli ingredienti né per quanto attiene alle preparazioni. Purché gli ingredienti siano di provenienza sicura, di buona qualità e ben conservati, purché nei locali e nelle attrezzature regni implacabilmente l’igiene, purché la manutenzione dei forni (a legna) sia scrupolosa, e, last but not least, purché non si ricorra a lievitazioni acceleratissime che giovano solo al profitto della pizzeria, ma certo non alla digestione del cliente.

Il quale, da parte sua, se notasse certi forni sozzi e neri di fumo, la faccia inferiore di certa pizza carbonizzata, l’olio rancido (a furia di rabbocchi) dentro certe oliere, perfino l’illegale cartone riciclato per l’asporto, eccetera eccetera – insomma tutte le pecche documentate da “Report” – , forse in molti casi cambierebbe locale senza indugi.

L’ignoranza in materia di non pochi pizzaioli, infine, sia italiani sia stranieri, e il fatto che la scuola alberghiera italiana neppure contempli una qualifica da pizzaiolo, utile ad elevare “cultura” personale e “identificazione” col mestiere, rendono il quadro ancora più allarmante. Quis custodiet custodes ipsos?, si chiedeva il satirico Giovenale nel I secolo d.C. Chi “sorveglia” coloro, pizzaioli e altri “osti”, che dovrebbero vigilare sul rispetto delle tradizioni e operare per una ospitalità italica – pizza, calzoni, farinate, street food anzitutto – di eccelsa qualità? Quella, per intendersi, che attrae turismo e crea fidelizzazione? Se le categorie non iniziano fermamente ad auto-vigilare e, con una corretta e sana concorrenza, a livellare i processi e i prodotti verso l’alto, cos’avverrà ai nostri miti e riti più affermati?

Meditate, lettori, meditate. E scegliete quindi prodotti e pizzerie a ragion veduta, così da premiare chi lo merita (e sono molti) e rende un buon servigio all’immagine del nostro Paese, il quale un tempo era 1° nella classifica mondiale degli arrivi, ora non a caso è 5°, e probabilmente scenderà verso l’11° posto, pur vantando, oltre a tutto il resto, un patrimonio gastronomico unico al mondo.

I pizzaioli meritevoli, per chiarirlo bene e definitivamente, sono quelli che

  • “ritornano” via via a farine macinate a pietra e meno raffinate (più ricche di fibre, minerali, calcio, fosforo, vitamine, preziosissimi polifenoli…),
  • moderano l’uso sia di ’00’ (uno tsunami d’amido e glutine) sia di Manitoba, che ormai ha sovente valori-bomba W˃380,
  • cucinano solo con olio extravergine (il vero mosto d’oliva, senza rettifiche chimiche), e si tengono lontani da olio di sansa, olio di palma…,
  • “ingentiliscono” il glutine con idonee tempistiche di impasto e riposo, puntata-staglio-appretto (la fermentazione infatti è la sommatoria di maturazione e lievitazione, la prima fase per scomporre i polisaccaridi in zuccheri semplici, la seconda per sviluppare anidride carbonica),
  • approfondiscono e sperimentano, senza cedere alla fretta dell’avidità, l’affascinante pianeta pre-impasti, dalla biga alla pasta madre, che giova alla digeribilità dei prodotti, alla loro conservabilità, ad alcune loro caratteristiche organolettiche (morbidezza, alveolatura, fragranza, pienezza dei sapori…). I pre-impasti, in tal senso, possono rappresentare l’indomita e “slow” risposta agli obbrobriosi miglioratori chimici,
  • privilegiano ingredienti freschi, del terroir, e di tracciabilissima provenienza (si pensi al magnifico pomodoro San Marzano DOP dell’agro sarnese-nocerino, un pieno di prezioso licopene, o al basilico genovese DOP, dall’aroma inimitabile, o al Parmigiano Reggiano DOP, che non a caso subisce innumerevoli contraffazioni dal parmesao al regianito, vedi ad esempio www.restodelcarlino.it, 02 04 2007),
  • non sacrificano la qualità in nome di chissà quali risparmi (l’olio sopra la pizza è circa 4-5 g, quanto mai si guadagnerebbe usando le schifezze al posto dell’extravergine?),
  • non eccedono in stravaganze pur d’inseguire chissà quale nicchia di business,
  • puliscono continuamente il forno a legna poiché le cattive combustioni e i depositi di farina carbonizzati sviluppano sostanze cancerogene,
  • sensibilizzano e motivano dipendenti e collaboratori (i giovani d’oggi sono i Raffaele Esposito di domani!), perché far squadra implica anzitutto senso di appartenenza,

e fanno tutto ciò così da garantire al cliente una sosta appagante e…una notte senza bicarbonato. Se in Italia ha ancora senso fare impresa, il futuro appartiene a costoro, per l’amore con cui praticano il loro mestiere.

Buona pizza a tutti, dunque, da “Pepe in grani” a Caiazzo (CE), da “Il farro” a Casola Valsenio, da “Bonci” e da “La Gatta Mangiona” a Roma, da “Berberé” a Bologna, da “Sorbillo” e da “Brandi” a Napoli, da “Mariano&Martino” a Genova, da “Ramses” a Como… Ma Ligucibario® attende le vostre segnalazioni, in Liguria e…nel resto del mondo!

Umberto Curti, docente in corsi di formazione professionale FSE di panificazione e pizzeria

2 thoughts on “La pizza è il pizzaiolo. Decalogo per il consumatore

  1. Commenta NICOLA CAPRIONI nov 21, 2014 23:23

    Sono molto grato a Umberto Curti per almeno due buoni motivi. Il primo è per la instancabile e documentatissima battaglia che da sempre conduce sull’educazione alimentare e sull’uso corretto dei prodotti. Il secondo è molto più personale, perché, grazie a lui, dopo molti anni, ho nuovamente mangiato una pizza. Non succedeva da tempo immemorabile. Purtroppo il malcostume ricordato da Umberto di molti pizzaioli, direi moltissimi, di caricare di dosi massicce di lievito la pizza, lasciandola poi lievitare per poche decine di minuti ha sempre prodotto nel mio intestino dolorose quanto antipatiche conseguenze, con notti insonni, passate in bagno e dolori atroci alla muscolatura intestinale. Da sempre diffidente dei locali che recano l’insegna “Pizzeria Ristorante”, nel 90% dei casi si mangia molto male, ho dovuto declinare l’invito di amici e conoscenti a mangiare una pizza, oppure sono riuscito a convincerli a cambiare programma e a recarsi in un buon ristorante o da un semplice farinotto (adoro la farinata!). Umberto mi ha portato da “Piedigrotta” nel quartiere della Foce a Genova. Ho gustato una ottima pizza, connubio felice tra cultura gastronomica napoletana e cucina ligure, una pizza dal nome di un gemellaggio “AMALFI-CAMOGLI” tra due località incantevoli. E’ avvenuto il miracolo. La pizza era squisita, il pizzaiolo professionale e corretto, gli ingredienti erano quelli migliori ela lievitazione era a regola d’arte. Il mio intestino non ha dato problemi di nessun genere, e ora so dove amdare con sicurezza, quando vorrò mangiare una pizza.
    NICOLA CAPRIONI

    • Commenta Luisa nov 22, 2014 15:02

      Grazie Nicola, crediamo che anche la pizzeria Piedigrotta sarà felice del tuo apprezzamento circa la “GenovAmalfi”.

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