Hai lavorato a innumerevoli progetti d’informazione e sostegno sia verso la pubblica opinione sia verso i pazienti e le persone potenzialmente affette da tali patologie e disturbi. In Italia il malato dovrebbe godere di maggiori agevolazioni? Dettagli, a beneficio dei lettori di Ligucibario, a che punto stiamo?
Nel corso della mia attività clinica mi sono più volte confrontata tra la diversa posizione del medico che, compiaciuto della propria competenza, pone una diagnosi corretta, e la frustrazione del paziente che si sente appioppare un’ etichetta di malattia decisamente sgradevole. Questo è particolarmente vero nel campo dell’ allergia alimentare: in questo caso prima di tutto si tocca un bisogno atavico, di sopravvivenza, che è quello del cibo, che è anche carico di connotazioni emotive: i cibi legati durante l’infanzia alla compagnia di nonni, genitori, amichetti, con il loro profumo diventano improvvisamente dei nemici; e la vita sociale, mangiare a scuola, al lavoro, o al ristorante con gli amici, in viaggio sia in Italia che all’estero, diventa problema insolubile, fonte di ansia e depressione nei soggetti coinvolti. Queste considerazioni mi hanno spinta a cercare la collaborazione di tutti quelli che si occupano di cibo anche al di fuori del campo medico, ed è così nata GAIA, un gruppo di lavoro in cui sono coinvolti i decisori legislativi, i tecnici, le associazioni di pazienti, il mondo della scuola sia come utente nel caso degli alunni a rischio di anafilassi che come punto di partenza per la formazione, come nel caso degli istituti alberghieri; imprese che sviluppano sistemi informatici innovativi per la tutela dei soggetti allergici, e per la qualità nella ristorazione; la ristorazione pubblica con mense ospedaliere ed aziendali, la ristorazione commerciale , il settore alberghiero e turistico, la Camera di commercio… Tutti gli attori sono stati coinvolti in primis per rendere attivo il regolamento europeo 1169 che impone la segnalazione della presenza di allergeni sia nei prodotti confezionati, sia in qualsiasi alimento non confezionato che venga prodotto da un “OSA” (operatore del settore alimentare) e utilizzato dal “consumatore finale” (che poi siamo noi…). Oltre a favorire la good practice per l’applicazione del regolamento, si cerca di aumentare la cultura sul tema con lezioni, incontri, seminari , FAD (formazione a distanza), laboratori di cucina, video informativi su YouTube (Allergy expert channel)… L’obiettivo è quello di favorire la affermazione (empowerment) del Paziente Esperto, che sa gestire la propria malattia e cooperare per migliorare la situazione dei soggetti coinvolti nello stesso problema, con una attività lobbistica indispensabile a supportare le scelte politico-sanitarie e sociali. Infatti, mentre il soggetto celiaco ha numerose facilitazioni riconosciute da una legge mirata, per l’allergia alimentare non vi sono riconoscimenti: per fare un esempio pratico, un bambino con grave allergia al latte deve acquistare a proprie spese latti sostitutivi, senza nessun rimborso; per quanto riguarda l’asma esiste una esenzione dal pagamento delle prestazioni dedicate da parte del SSN, ma per l’allergia alimentare non è previsto… Inoltre, nel settore dell’alimentazione l’informazione è spesso fuorviante, e manipolata con fini economici; test senza alcun supporto scientifico hanno avuto spazio per proliferare in un settore in cui ognuno, dall’attrice allo sportivo fino al “mago” si sentono liberi di esprimere pareri personali come se si trattasse di verità assolute.
Paola Minale, Direttore f.f. U.O.C. Allergologia, Policlinico Ospedale San Martino IRCCS
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