Da molto tempo amo Sarzana, né potrebbe esser altrimenti, trattandosi di un luogo che trasuda storia e storie. Quanto all’enogastronomia, conoscevo già le atmosfere e le specialità di “Gemmi”, ma debbo all’amico Nicola le creme della gelateria “Biagi” e i salumi de “Il norcino”.
Amo Sarzana anche perché mi conduce (col pretesto della pasta di Setaro) alla gastronomia di Michele Grassi, sosta del buonessere prima ancora che del buon nutrirsi.
“De Sarzano le due lune” è in via Castruccio 24. Ecco, come ogni volta, lo stokke delle Far Oer conservato nelle vasche di marmo apuano. La collezione (altro nome davvero non mi viene) dei formaggi a latte crudo, dei pecorini sardi, del gorgonzola di capra, del burro d’alta Lunigiana. Il bel mortaio col pesto, affiancato da una piccola cima – più t’allontani da Genova più la farcia vira al verde – e dal ruralissimo castagnaccio. Ecco perfino il faccione d’Aldo Fabrizi, che sorride “recitando” la celebre quartina romanesca di nonna minestra.
Mai come stavolta, tuttavia, mi ero trattenuto nella saletta che Michele ha allestito nel retrobottega. Ogni cosa, là, ed ogni parola di Michele, aprono una storia. Bottiglie antiche e nuove, oggetti salvati dall’oblio, vinili leggendari, profumi, foto con dediche, riviste…, ogni cosa là – credimi, fratello lettore – t’apre (se intendi leggerla) una storia. Da Paolo Monelli a Mario Soldati fino a Mandino Cane, uno che – lui davvero – sui “bricchi” di Dolceacqua vinificava al vecchio modo, quando non esisteva la smania di chiamare vini naturali le bottiglie ideologicamente lontane dalla chimica.
Uno come me non può, sugli scaffali, non notare addirittura i primi numeri de “Il Gastronomo”, la rivista di letteratura gastronomica ideata dal grande Gino Veronelli (su Ligucibario ti ho già narrato la cortesia che questo sommo enogastronomo mi usò 15 anni fa). Sfoglio dunque con emozione le pagine un po’ lise da altre dita e dal tempo, trovo uno speciale sulla cucina ligure, pesto e dintorni, un altro su chef Curnonsky (1872-1956), e – ovunque – la sapienza e lo stile di Gino Veronelli, il gioioso guerriero, l’unico che abbia potuto dirsi ruralista senza essere contadino.
Grazie, Michele, c’è tutto il tuo garbo in questo tempio, un garbo di altri tempi, il tuo modo appartato e dialettico di amare cibi e persone, tutto l’opposto del blablabla urlato dalla contemporaneità e dai vanitosi.
Tsunami di accadimenti e via via d’altri ricordi potranno scorrere dentro la mia memoria, alluvionando molto sedime, ma non dimenticherò mai il tempo trascorso nella tua bottega, la tua accoglienza squisita dentro un mosaico di bellezze che con trasporto hai costruito anno dopo anno. Felicitazioni vivissime è espressione troppo lieve per significarti tutto il bene che t’auguro, a te come persona e come professionista della qualità.